Tanti, troppi, specialisti ci vogliono spiegare l’America e meglio ancora, la democrazia. Il campo di esercizio ultimo, in ordine di tempo, è quello delle elezioni negli States dove si erano premurati di vaticinare la vittoria a spasso di Trump per rivedere poi il vaticinio con l’incredibile rimonda di Kamala Harris succeduta allo stagionato Biden.
Di qui si va in deliquio sulle sfolgoranti qualità della democrazia statunitense avente il merito di controvertire le tendenze dando grande prova di vitalità. Tutto vero se però non si confondesse la democrazia, e la sua complessità, con l’effetto della competizione sportiva.
Il lato eccitante che sussiste in queste elezioni consiste proprio nella rimonta di Kamala che come un centrometrista (o una centrometrista, pardòn) partita con l’handicap del grande slancio di scatto dell’avversario riesca a riprenderlo e superarlo. C’è però un piccolo dettaglio. La corsa è ancora in atto. E nessuno può prevedere ci sia una nuova ripresa. E comunque confondere la prestazione agonistica con il vero livello di democrazia, di diritti per le persone, di capacità di dare un mutamento di prospettiva (qualsiasi esso sia) non fa bene a qualsiasi conversazione sul valore della democrazia.
La capacità prestazionale viene confusa con l’innovazione della proposta. Donald Trump – poi se ne può parlar male quanto si vuole, non è questo il problema – con American First ha rappresentato un’inversione di rotta che smette il retaggio di impero e l’illusione del controllo nel mondo, per guardare alla propria difesa e alle prerogative da salvaguardare per chi “tiene in mano la giostra”.
Gli errori di Kamala Harris invece si intravvedono già in partenza. IL partito preso contro Benjamin Netanyahu sicuramente accontenta la vasta opinione liberal che manifesta in vari punti del paese e del mondo. Ma mostra quella che potrebbe essere la futura presidente degli Stati Uniti come una tifosa, non come una che riesce a guardare i problemi dall’alto e si pone come spartiacque riferendo a sé stessa come fonte autorevole, imparziale, capace di trovare una mediazione tra le parti in virtù della terzietà conquistata sul campo. Niente di tutto questo. Kamala resta una tifosa. E come tifosa è bene che resti dove sta.