“Vivete la vita fino in fondo”. Questa frase rimarrà nei discorsi di tutti e sarà un monito ad evitare di mettersi da parte o decidere per non fare quello che domani potrebbe non replicarsi. Stiamo parlando ovviamente del piacere della vita che è nella vita stessa, senza alcuna aggettivazione aggiuntiva.
Non è un un intellettuale contemporaneo a dare questo messaggio prima del suo congedo dal passaggio da questa parte del mondo sensiente, bensì un uomo di calcio. Un esponente di un’avanguardia non sempre riconosciuta ma per lui hanno parlato i meriti, ancor più delle vittorie.
Eriksson vuole essere ricordato in vita come cosa vivente e ha autorizzato il suo necrologio, ancor prima della dipartita effettiva, proprio perché fosse esaltata la sua grande tenerezza per le cose terrene e questa sfera dell’essere. La sua esortazione vuole che noi tutti si guardi bene a questa sfera, come da allenatore doveva chiedere ai suoi giocatori di non perdere mai il controllo della dinamica della palla per essere al punto giusto di intercettarla prima degli avversari.
Eriksson come uomo di sport è stato una vera avanguardia. Roma lo sa bene e lo ha conosciuto altrettanto bene in ciascuno dei versanti del Tevere. Ma anche prima col suo Gotenborg quando annichilì la Roma dello scudetto in un incontro di coppa europea. Era una Roma stellare, prossima a vincere lo scudetto 82-83. Ebbene, i ragazzi di quella squadra svedese mostrarono un calcio stellare che andava ben oltre la zona di Liedholm. Eriksson giocava col pressing a zona e dava una qualità mai vista a ciascuno dei suoi giocatori: quella di roteare come posizione in campo tanto da far trovare l’avversario che marcava sempre fuori posizione.
Andando alla Roma arrivò vicino al miracolo vero e proprio. Raggiungere la Juventus lanciata per la vittoria e soffiarle lo scudetto. Ma quel miracolo non avvenne per una capitolazione inaspettata e ancora inspiegabile dei giallorossi. Quella Roma fu una delle più grandi affermazioni calcistiche nel campionato italiano. Sì, perché Eriksson non aveva bisogno di fuoriclasse per essere competitivo. I suoi giocatori erano un condensato-disposto di agonismo, determinazione, chiarezza dei ruoli in continua mobilità e capacità di predisporsi al passaggio, sia da ricevere che da lanciare.
Ma la favola ebbe breve durata. L’esperienza con la Lazio trovò maggiore fortuna portando uno scudetto agli aquilotti. Ma in quel caso Eriksson trattava con fuoriclasse assoluti e in quel caso la sua difficoltà dovette essere l’opposta: quella di farsi capire e obbedire in un contesto di primedonne.
Tutto questo era possibile per Eriksson grazie a uno stile inossidabile. Non faceva discorsi per irretire l’attenzione, non lanciava proclami per preparare l’atmosfera, non disorientava giornalisti e avversari con polemiche ad arte, non si inventava problemi inesistenti quando le cose non andavano per il giusto verso. Il campo diceva l’unica verità possibile “e davanti al nostro lavoro e alla nostra determinazione dobbiamo assolutamente vincere”. Non infingeva chiacchiere sull’avversario per fanfalucare ragioni di un eventuale risultato poco favorevole.
Sapeva cogliere le occasioni quando arrivavano e questo sicuramente ha fatto in vita e ha esortato a fare, prima di uscire di scena.
Sven Goran Eriksson, tra sport e gossip, calcio e belle donne, e che oggi esorta ancora noi tutti a “sorridere e vivere la vita sino in fondo”. Aveva settantasei anni.
Gli sia lieve la terra.