Non si capisce il punto di impostazione di partenza nelle cronache di questa guerra mediorientale arrivata all’undicesimo mese. Se la prospettiva – rispettabile come sempre – sia quella della tregua ad ogni costo, oppure se sia del riallineamento tra forze e quindi un accordo durevole perché i due mondi inizino a coesistere senza belligeranze. Nel caso, invece, si propenda a priori per una delle due parti lo si dovrebbe dire a priori per un senso di rispetto nei confronti del lettore.
Niente di tutto questo avviene nel giornalismo italiano. Si dà un premier israeliano assediato per l’imponente manifestazione di Tel Aviv, si insiste sulle metodiche di guerra perdurate e lo scetticismo sui tentativi di accordo comminati dal presidente americano in via di andare a meritato riposo. Del resto, si dirà, nulla si può dire del mondo che sta dall’altra parte. Tutto proteso a intraprendere metodiche di guerra col loro beneficio della sorpresa non si divisano in letteratura per il consumo compassionevole dei lettori d’Europa protesi a vedere in loro le eterne vittime di un esercito invasore.
Ma chi ha fatto una strage il 7 ottobre del 2023? Chi ha ammazzato i sei ostaggi che invece dovevano essere rilasciati come attestazione di disponibilità agli accordi?
Tutta colpa allora di un premier assediato e solitario che nella fretta di saldare il conto con l’eterno nemico vuole farla finita una volta per tutte sacrificando anche quanto di più caro ora c’è da sacrificare. Ma non ha con sé nemmeno un cuoco? (Come diceva Brecht di Giulio Cesare conquistatore delle Gallie).
Israele è un paese fortemente democratico che tiene a questo valore come asse portante del proprio essere Stato. Sacrificherebbe tutto questo per ragioni di guerra? Evidentemente lo stato delle cose è arrivato a un livello di esasperazione tale per cui ogni prospettiva nasce dalla dimensione di esacerbazione. Tutto questo non viene recepito dal nostro giornalismo teso ad affermare i buoni sentimenti (dimensione condivisibilissima e apprezzabile) perché si ha il proprio sederino ben al riparo sulla sedia e lontano da ogni tensione.
I campioni di questo doppio frontismo di maniera sono da una parte Il Riformista, dall’altra il Sole 24 Ore. Nel grande rispetto di queste due voci ben apprezzate del nostro panorama di informazione vorremmo che fosse fatta meno geopolitica e maggiore racconto di come la società vera, concreta, quella che vive sulla propria pelle il maleficio della guerra, vive lo stato di cose presenti. E poi chiedere loro cosa vogliono. Ma tanto anche dai loro leader riusciamo a saperlo.
Buona informazione!
E buona notte del pensiero!