IL 9 giugno si sono concluse le elezioni europee. Hanno dato 46 seggi alla Sinistra (Left), 136 a Socialisti e Democratici (S &D), 53 ai Verdi, 77 a Renew Europe, 188 al Ppe, 78 ai conservatori e riformisti dell’Ecr, 84 ai Patriots for Europe, 25 agli Europe of Sovereign Nations e residuali 33 ai NI. IL tutto per un totale di 720 scranni.
L’equilibrio ritrovato in questi mesi per confermare la Von del Leyen prevede imprescindibilmente quelli del PPE e i socialisti in alleanza, più altri in tendenza continuista e neocentrista.
Tanto che, ricordiamo tutti che Giorgia Meloni e i suoi non hanno votato questa maggioranza. Nondimeno possono e debbono entrare nella trattativa per la formazione dei commissari perché un paese come l’Italia ne ha diritto come proporzione numerica in riconoscimento anche dell’essere paese fondatore.
Una situazione non lineare ma chiara. I tempi e le procedure hanno voluto che si svolgesse tutta l’estate per arrivare alla nomina dei commissari.
Oggi in Conferenza dei presidenti dei gruppi, von der Leyen presenta la sua lista. E viva Dio! Mesi e mesi con la telenovela Fitto sì, Fitto solo probabile, l’opposizione italiana non lo vuole, no non è vero …
Ma lo spazio per le sorprese è salvaguardato. I francesi debbono vedere sostituito il loro uomo, sempre con uno dei loro, ovviamente. Quindi al posto di Thierry Breton, Stéphane Séjourné. Quindi ottenere Fitto è pur sempre una conquista democratica.
Quel che emerge, e tutti lo hanno rilevato, è che le nomine sono a immagine e somiglianza di von der Leyen. La delega della Concorrenza va al socialista Ribera, il Commercio tranne altre sorprese va al ceco Jozef Sikela, mentre all’olandese Woepke Hoekstra l’Economia. Alla Giustizia a svedese Jessika Roswall, l’Agricoltura al lussemburghese Christophe Hanses, i Trasporti al greco Apostolos Tzitzikostas. Al Belgio si riconosce anche il dossier della Migrazione che dovrebbe essere dato a Hadja Lahbib, Ai finlandesi la questione del digitale con Henna Virkkunen.
Ma con una composizione a cui si è arrivati attraverso l’attenta ponderazione di derivazioni politiche, nazionali e soprattutto personali, difficilmente potrà essere un’Europa che cambia passo come quella che ci si attende.
Ursula al primo mandato era partita coi migliori auspici. Green Deal, transizione digitale, difesa. Abbiamo scherzato, sembra dire ora. Aveva incassato la mutualizzazione del debito per finanziare la rinascita del modello di sviluppo europeo e ora deve lasciare la parte del grande maestro Mario Draghi che ci indica l’unica via possibile per uscire dal guado ed emergere dalla marginalità in cui gli stati europei sono attualmente condannati.
L’Europa non ha una politica quindi non può porsi nemmeno come soggetto politico tra gli altri. Sono scoppiate due guerre e non c’è stato un sussulto che ne desse l’identità. Da parte di Germania e Francia però slanci in avanti, pur discutibili, ci sono stati. Gli altri non la aiutano ma neanche lei mostra il barlume di un’intuizione politica. Continuerà a manovrare, a tenere a galla la struttura, confidando sulle altrui debolezze per offuscare la mancanza di leadership.