Avranno un bel daffare gli storici per comprendere qual è il momento esatto della crescita nelle gerarchie sociali da parte del genere femminile. Un criterio è quello del filosofo Umberto Galimberti che vede nell’invenzione e nella commercializzazione della pillola il momento in cui la donna è riuscita ad uscire dallo scacco della maternità a cui era obbligata dagli uomini. Ma un altro criterio, maggiormente storicistico, delineato da Rossana Rossanda vede nell’ingresso della donna in fabbrica così come nel suo impiego nel lavoro che dà reddito o una sua forma, il momento dell’emancipazione in cui integrandosi come facente parte della produzione non poteva essere estromessa dai momenti decisionali, nel sindacato, in fabbrica, come in famiglia.
Le interpretazioni sono molte e rischiano di essere oziose. In definitiva sempre poco interessanti per il movimento di emancipazione della donna.
Ma un elemento di evidenza massima per il quale non possiamo astenerci dal rilevare il salto antropologico lo vediamo nelle arti visive o nelle arti in genere. Gradualmente il cinema ha portato in auge la figura femminile che non supera il semplice emblema della bellezza o della seduzione. Impossibile vedere una diva come Greta Garbo o Louise Brooks come semplici belle donne prestate alla maggiore appetibilità del prodotto cinema. Sono dive che hanno imposto un archetipo nuovo nelle categorie etiche, ancorché estetiche, nella cultura del loro tempo.
Le feste dedicate il 20 settembre a Sophia Loren ed oggi ad Ornella Vanoni per il loro novantesimo compleanno stanno a riconoscere queste due protagoniste assolute come modello di personalità molto al di là dello stantio ruolo del femminino. E non si tratta solo della bellezza ma di qualcosa che va ben oltre e aiuta a interpretare il mondo e le sue contraddizioni.
Seguono Mina e Claudia Cardinale, non sufficientemente celebrata Lea Massari. accanto a loro anche chi non è tra noi: le grandi attrici che hanno fatto il grande il cinema italiano, Virna Lisi, Silvana Mangano, Gina Lollobrigida, Elsa Martinelli, Antonella Lualdi.
Ad un occhio attento e teso a superare l’effimero momento del divismo appare chiaramente come ciascuna di loro rappresentasse una parte di società in cambiamento e di cui il salto antropologico del nuovo ruolo della donna nella società era uno degli aspetti decisivi.
Festeggiare due grandi donne non significa, quindi, cedere solamente al sentimentalismo di come eravamo ma ringraziarle di essere state artefici di un cambiamento mosse da dinamiche, come già detto, tutte da decifrare e da stabilire.
Ma siamo contenti abbiano dato la cifra del nuovo che arriva. Ed è per questo è giusto fare festa.