Sull’opportunità di gestire un prelievo fiscale maggiormente sostanzioso cade l’ulteriore tegola sulla testa del figurativo governo. “Figurativo”, perché immaginando sia una persona per la compattezza a cui hanno voluto convincere tutti i suoi appartenenti e alla comunità degli intenti nei partiti che facenti parte, ci sono troppi corni della vicenda di gestione ordinaria e straordinaria da risolvere.
Una regola non scritta per chi fa politica a un certo livello consiste nel fatto che non si possono avere due problemi per volta. E se ci sono ad uno deve essere riconosciuta priorità per importanza e impegno nella soluzione. Se ne affiora un altro sono guai.
Rischierebbe così di svanire il sogno del governo di una legislatura piena che porta a casa riforme importanti e dà avvio alla “terza repubblica”.
Le prime due riforme importanti consistono nell’elezione diretta del presidente del Consiglio e nell’autonomia differenziata. Ma sull’ultima i malumori salgono in ogni dove e non è improbabile che il referendum proposto dai partiti di opposizione trovi, in disciplinato silenzio, anche l’adesione di molti appartenenti alle forze tradizionali della destra italiana con a cuore il senso di unità nazionale e di conformità nelle organizzazioni statuali nella gestione dei rispettivi territori.
Di rimando il referendum sull’elezione diretta del presidente del Consiglio potrà vedere silenziosi sostenitori sempre nei partiti di centrodestra non-meloniani. Ciascuno vede in questa investitura popolare il tentativo di Giorgia Meloni di istituzionalizzarsi nuovamente come premier e non mollare la sua carica. Questo referendum sarebbe obbligato dalla procedura costituzionale di approvazione perché non in grado di raggiungere una maggioranza qualificata.
Davanti a queste due grandi questioni in ballo da mesi la discussione sulle possibili aggravamenti fiscali imposti da una produzione di ricchezza sempre in affanno non ci voleva. L’Italia deve pagare i costi del suo debito pubblico ingente, deve rinunciare a parte delle somme guadagnate, ma la domanda che tutti si pongono: chi le ha guadagnate queste somme se il livello di vita si è abbassato un po’ per tutti? Perché pagare di più se la forza d’acquisto dei salari è diminuita per colpa dell’inflazione incessante negli ultimi quattro anni?
C’è però chi ha guadagnato di più. Sono le banche che hanno incassato gli extraprofitti, sono le industrie belliche che hanno venduto più armi con due guerre in corso.
Ma su questo versante non ci sentono i fautori del neoliberismo all’amatriciana delle nostre parti. Sono il partito di Forza Italia e i leghisti di Salvini. Ma da qualche parte questi soldi bisogna pur prenderli. E non potrà essere dalle tasche degli italiani oramai allo strenuo e aventi dato la maggioranza a questo governo proprio perché aveva promesso la cancellazione delle accise sulla benzina.
E sono questioni non risolvibili attraverso il dibattito. Bisogna saper destreggiare coi numeri. Anche i numeri dei presenti in aula disponibili a votare le soluzioni di questa alleanza.