Trentaquattro feriti di cui trenta tra le forze dell’ordine e una ragazza ferita alla testa e soccorsa sul posto. È il bilancio degli scontri di Porta San Paolo. È chiaro che non si tratta di narrazione della Storia in cui si celebra uno dei tanti scontri che hanno visto manifestanti contro le forze dell’ordine sulle grandi parole della libertà negli anni trasformatisi nella loro attualizzazione del contesto specifico.
La piazza simbolica è stata scelta come emblema della lotta contro la dominazione o la sopraffazione. Ed è per questo motivo in cui non si doveva concedere la vaghezza di ripercorrere la ritualità di un luogo simbolico nella capitale.
Anche se non condivisibile in nulla la manifestazione doveva essere concessa e magari controllare affinché non ci fossero provocazioni che ne degenerassero i contenuti e gli effetti pratici di un atteggiamento di protesta. E anche se, tutto sommato, gli effetti sono inscrivibili in un quadro di contenimento di tanta rabbia sulla questione in sé, la risposta del ministro Piantedosi poteva essere diversa. Si è dato un pretesto a un movimento di insofferenti con idee confuse di lamentarsi per il fatto di esser stati repressi.
La manifestazione in sé, organizzata a ridosso del primo anniversario della strage del 7 ottobre, era una provocazione. E alle provocazioni non si risponde. Questo vuole una vecchia scuola. Questo deve fare un governo in carica.
E invece la guerriglia urbana, le bombe carta, i pali della segnaletica divelti per aggredire le forze dell’ordine danno la chiarezza di ben altro che un movimento di protesta. I personaggi manifestanti erano ben organizzati e sicuramente erano penalizzati dal fatto che, causa la pioggia e lo sfilarsi di diverse associazioni solidali, si sono ritrovati soli in piazza. Col favore delle masse avrebbero potuto combinare ancora più guai. E questo però è un punto a favore di Piantedosi che ne ha vietato lo svolgimento fino alla mediazione con la polizia di effettuare un sit in.
Ma la riflessione su questo tipo di manifestazione deve riguardare il loro senso. Qual è il significato, lo spessore comunicativo, di una manifestazione di piazza ai tempi della comunicazione telematica? Ha ancora senso ritrovarsi e inveire con parole d’ordine il più delle volte demenziali? Cosa si intende dimostrare oltre il fatto puro e semplice di cercare lo scontro per lo scontro? Nella società telematica i pareri contro o favore si possono enumerare con precisione e si possono indicare con nomi e cognomi. Quale valore aggiunto dà il ritrovarsi in piazza per scandire il proprio dissenso?
Massimo valore e considerazione per questo strumento di lotta quando deve essere data la dimostrazione fisica, sociale, della presenza di un soggetto politico con dei contenuti da esprimere nel proprio contesto urbano – quasi sempre contenuti polemici. Massima considerazione per quel che ha rappresentato nella Storia del Novecento. Ma oggi?