IL cosiddetto calcio totale è nato con l’Olanda dei primi anni Settanta. Una squadra che conosceva in Johann Cruijff il suo emblema ma in Neeskens il suo interprete principale. Cruijff era l’uomo del gol o colui che portava i compagni a farlo. Un ruolo fondamentale. Ma se la squadra girava e copriva veramente e ben cominciava l’azione che avrebbe poi portato alla realizzazione questo era sui piedi di Neeskens.
Caratteristico coi capelli lunghi, somigliava a un ragazzo qualsiasi d’Europa. Correva per tutti i novanta minuti, stava sempre sul pallone per vincere i contrasti non per far finta e aveva anche una qualche dimestichezza col gol, quando gli veniva assegnato l’onere di battere il rigore.
La sua generazione di campioni ha cambiato non solo il calcio per come lo si conosceva, ma la gestione di apparente libertà dove saltavano ruoli troppo rigidi bensì il campo era il terreno di confronto per ciascuno (oltre che il pallone e l’avversario) sembravano voler cambiare le logiche del mondo.
Un bel sogno che però nonostante il grande miraggio fu destinato al tramonto in pochi anni. L’Olanda non riuscì a vincere un mondiale nonostante gli sfaceli dell’Ajax, vincitrice in Coppa dei Campioni contro l’Inter nel 1972 e poi altre due volte consecutive finalista in questa prestigiosa coppa europea.
IN questa dimensione che pare sospesa come quella del sogno Neeskens svolgeva il ruolo del mediano, l’uomo che impostava l’azione, colui che restava indietro generosamente per coprire la squadra all’assalto, l’interprete anche del gioco avversario tanto da riuscirne a prevedere le mosse per coprire il giocatore più pericoloso in procinto di liberarsi. IN sostanza, al di là dei clamori, l’uomo chiave di una squadra. Colui che la fa girare.
Presente nelle occasioni che contano: segnò il rigore nella finale del Mondiale. Un ruolo che gli fu riconosciuto per il suo grande lavoro “oscuro ma utile” che però non incontrava i favori delle luci tese ad esaltare le res gestae dei campioni. Neeskens era il campione per l’intenditore di calcio non per le folle adoranti. Sì perché per Neeskens non c’erano i gol fantasmagorici che i ragazzi ricordano per sempre, ma una miriade di piccole, grandi azioni, di copertura e impostazione che consentono alla squadra di giocare e di girare.
La seconda carriera fu interpretata nei campi del Bernabeu di Barcellona dove vinse la Coppa del Re e una Coppa delle Coppe. E anche lì dovette affermare il suo modo di giocare ogni pallone non rinunciando mai alla pulizia del gesto evitando, il più possibile, di entrare nello sporco.
Neeskens aveva 73 anni. La sua storia fraterna per una generazione rischia di essere dimenticata per il calcio arrivato dopo di lui che molto deve a lui senza saperlo.
IL saluto dato a Neeskens è quello ri-conosciuto ai grandi che fanno la Storia ma da questa dimenticati.
Gli sia lieve la terra.