In Liguria vincono e perdono le persone non gli schieramenti. La lezione ligure ci insegna innanzitutto che i grandi ripulisti determinati dagli arresti giudiziari non necessariamente impressionano il voto popolare, tanto più se l’amministrazione incriminata ha creato lavoro e determinato movimento di economie in grado di attivare la vita pulsante di una comunità.
Il solito gioco degli schieramenti contrapposti viene invece meno. Il vincente Marco Bucci, pur rappresentando fattualmente il centrodestra, si presenta con una miriade di liste civiche tese a superare lo schematismo dei simboli tradizionali. Ed è proprio il primo simbolo rappresentativo dello schieramento, quello del primo partito di coalizione governativo, che invece quasi dimezza i voti pur vedendo il massimo dell’affermazione della sua leader.
Marco Bucci infatti era stato imposto da Giorgia Meloni. L’unica ad aver capito veramente come le candidature territoriali non possono calare dall’alto a meno che non siano personaggi veramente specchiati e indiscutibili. Il corso della carriera di Marco Bucci era esemplare. Manager della farmaceutica, aveva lavorato e lavorava alacremente per Genova, anche se, nemo propheta in patria, a Genova stessa non riscuote la maggioranza. La risposta positiva alla sua candidatura arriva invece dal resto della regione a cui piace il modello Bucci, ma sicuramente ha apprezzato anche la precedente esperienza Toti, assai chiacchierata per l’eccessiva compromissione con l’imprenditoria arrembante del porto, ma allo stesso modo apprezzata per i risultati pratici in termini di occupazione e prodotto interno lordo regionale.
Quindi, si diceva, protagonismo dei suoi protagonisti. Innanzitutto il vincente in persona: Marco Bucci. Poi sicuramente Giorgia Meloni che l’ha voluto.
Ma esistono i protagonisti negativi. Sono lo sfidante che ha perso. Andrea Orlando gode di una notorietà nazionale e da tanto tempo in politica ai massimi livelli ma non ricordato specificamente per le res gestae nei ruoli apicali di responsabilità al ministero della giustizia. È il classico esempio della candidatura sbagliata, calata per dare collocazione a un quadro di partito e non per pensare una strategia vincente per la regione.
Protagonista negativa Elly Schlein che l’ha scelto o se l’ha accettato. Ha dimostrato di capire poco di politica e assai poco gli varrà il contentino della vittoria di Pirro: aver vinto una battaglia ma aver perso la guerra, esser il primo partito ma aver perso le elezioni. Ha beneficiato dello scioglimento fattuale dei Cinque Stelle protagonisti in negativo per la vicenda della lite tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo proprio nei giorni in cui si votava. Era chiaro che quel grande flusso elettorale non avrebbe votato o se preso da rigore civico avrebbe ripiegato sul PD.
Ma sempre in tema di protagonismi negativo Giuseppe Conte dovrà scontare il fatto di non aver voluto Matteo Renzi in coalizione ed Elly Schlein di aver accettato il diktat. Due dilettanti della politica a cui qualcuno dovrebbe spiegare la regola anglosassone per cui un voto di centro vale due: il proprio e quello dello schieramento opposto a cui rischia di andare se non accolto dentro la coalizione.
E sempre in tema di personalismi immaginiamo un Matteo Renzi che se la ride alla grande. Ripeterà a sé stesso e agli altri: “senza di me non andate da nessuna parte”. Provate a dargli torto.