Diciamo innanzitutto che i sondaggi non fanno testo. Con l’inevitabile margine di errore, pur limitato, non possono predire alcunché. Il vantaggio di Trump infatti è troppo esiguo per cominciare a cantare vittoria da parte della parte repubblicana.
Alcuni tratti fenomenologici nuovi li possiamo apprezzare già da adesso in questa campagna elettorale americana. E guardano a una similitudine con le elezioni dalle nostre parti dove si rileva un elettorato arrabbiato, rivendicativo, con problemi di armonizzazione tra il proprio ruolo sociale e il resto del complesso di vita in cui vive – e questo vale per tutte le classi sociali – propendere per Trump.
La persona invece con un ruolo chiaro nella vita, con un mestiere e una professione, con una dimensione maggiormente ottimistica della propria esistenza propende per l’orizzonte democratico.
È in altri termini la diatriba per cui a votare il Partito Democratico nostrano sono quelli che abitano nelle zone a Traffico limitato e nei centri storici. Tutti gli altri non votano, gli scontenti, gli arrabbiati, i disillusi guardano con maggiore favore all’altra parte della sfera politica. Di certo, non si fidano delle prospettive accomodanti propugnate dalla parte che si dice progressista del paese.
Tornando alle elezioni degli Stati Uniti tutto questo si è notato anche attraverso gli endorsement. Quelli per Trump, eccezion fatta il clamoroso sostegno di Kennedy, sono state di persone rappresentative di un mondo di persone qualunque, a volte anche esclusi. Kamala Harris ha invece cercato e voluto i classici sostegni da parte del mondo del jet set. Attori, personaggi illustri nel mondo dello spettacolo le cui simpatie democratiche, per altro, non sono state una sorpresa per nessuno.
Ma in più Kamala Harris deve incassare la mancanza di un sostegno che tutti si aspettavano. Quella del giornale liberal Washington Post. E non si capisce bene se questa è una mossa da tenere come sorpresa dell’ultimo momento oppure se è stato consigliato di smettere di far girare questi appoggi incondizionati da parte di un mondo già di per sé schierato. Ed oramai la conferma di questa immagine un poco rarefatta della persona cara ai buoni ambiente e ai salotti produca più male che bene nelle vere simpatie degli elettori.
La gara del vaticinio nei dibattiti tra specialisti della politica consiste nel saper prefigurare un mondo con Trump presidente o un mondo con Harris alla Casa Bianca. Il ragionamento al limite tra ipotetico e azzardato si concentra specialmente nella sussistenza di due guerre in atto.
Ma a giudicare l’andamento attuale dei movimenti bellicistici sia in Ucraina che in Medio Oriente, probabilmente la soluzione sarà la stessa. Non c’è riuscito Biden come regalo di fine mandato. Sarà obiettivo di entrambi chiudere contese e aiuti militari. Entrambi, sostanzialmente, con una visione, pur nelle grandi differenze, della fine di un ruolo militarmente egemone degli Stati Uniti nel mondo. Ed è questa una dimensione che non ci mancherà.