Da moltissimi osservatori è stato rilevato che la vittoria di Trump si decifra come una riscossa dei non garantiti, di coloro i quali vivono di lavoro instabile o con forte precarietà. Sono persone stanche di sentirsi la lezione su quel che è giusto è quel che è buono da farsi e da pensare così come comminato dalla cultura woke imperante nel mondo progressista.
Si tratta sicuramente di una visione ancora sommaria e approssimativa ha però il bene di delineare la cifra del conflitto sociale in atto. Come dire che si risveglia uno spirito di lotta di classe dove però a fare da modello sono i vincenti. Ma si tratta di una categoria specifica della cosiddetta classe dominante. Sono coloro che vivono la stessa conflittualità dei loro elettori socialmente disagiati. Il loro braccio di ferro con l’establishment ha vinto questo game e data la tendenza prevalente rilevata anche in Europa, per dirla con Elon Musk, si può dire: “game! Partita!”
Ma tanto per rimanere nella metafora sportiva, è proprio dopo che si è vinto a dover dimostrare una mentalità vincente. Come chi vince un torneo o un campionato diventa per tutti l’avversario da battere. Lo stesso sarà per Donald Trump trasformarsi dal Trump di lotta al Trump di governo.
E allora cominciamo a dire che la politica dei dazi a un impero come la Cina sarà molto difficile da applicare. Oramai, anche nella tecnologia, tutto è modificazione di un lavorato cinese. Impossibile prescindere dall’impero post-post-comunista senza pagarne un prezzo altissimo. Senza pensare, poi, alle inevitabili ritorsioni che arriverebbero da quell’altra parte del mondo.
È stata poi annunciata lotta dura senza paura nei confronti del fenomeno dell’immigrazione selvaggia negli States. Benissimo. Ma si deve sempre fare la tara sulla percentuale di immigrazione funzionale agli Stati Uniti, quella cioè che silenziosamente è apprezzata da coloro che hanno bisogno di nuove braccia per lavori sottopagati- E poi una politica così aggressiva come annunciata è facile da dirsi, quasi impossibile da farsi. Decisamente sconveniente schierare uomini e mezzi lungo tutto i confini, tanto più alzare una grande muraglia come per un verso è stato predicato.
Disimpegno militare nelle varie aree delicate del mondo. Anche qui, facile a dirsi. Possono gli americani accettare che il proprio avversario di classe, contro il quale si scatena almeno un duello di efficienza e affidabilità del modello di vita come quello industriale, che espanda e faccia conquiste secondo la vecchia logica bipolare? Anche perché questo significa implicitamente acquisire mercati che sarebbero o saranno preclusi agli Stati Uniti in futuro.
Grazia all’uso e all’avanguardia nel controllo dell’alta tecnologia non ci sarà più bisogno di essere presente nei luoghi specifici e strategici del pianeta. Ma questa tecnologia non è appannaggio degli Stati Uniti. Se c’è qualcosa di democratico universalmente riconosciuto nel mondo consiste proprio nell’evoluzione della tecnologia voluta dal capitalismo tendente naturalmente ad espandere il suo mondo. E poi il super amico Donald Trump non ha siglato una promessa col sangue di preservare questa alleanza esclusivamente con gli Stati Uniti. E poi è anche difficile pensare al futuro della tranquilla convivenza di due super star nello stesso ambito.
Di elementi di crisi ce ne sono. E potrà essere proprio il mondo dei nuovi dominatori a facilitare il compito a un mondo progressista che non si raccapezza più su cosa deve fare e cosa deve dire.