Ci chiediamo da due giorni quali possano essere le motivazioni per cui sia stata emessa la sentenza su Netanyahu dalla Corte Penale Internazionale. La Presidenza italiana del G7 intende porre il tema all’ordine del giorno del prossimo G7 dei ministeri degli Esteri che si terrà a Fiuggi dal 25 al 26 novembre.
Mentre aspettiamo trepidanti la risposta vorremmo capire cosa cambia effettivamente al premier israeliano l’essere dichiarato delinquente da arresto immediato. Il sicuro effetto di passare come inquisito per la sua battaglia di salvaguardia del diritto di territorio a un paese, il suo, riconosciuto come avente tutti i diritti di sovranità. Avrà facile gioco nel considerarsi vittima. Potrà fare l’uomo solo contro tutti. Non a caso il suo primo commento è stato quello di un “caso Dreyfuss del terzo millennio”. Anche il popolo israeliano più ostile al suo premier sarà costretto di stringersi attorno a lui in questa operazione di riconoscimento che mai sarebbe riuscita a Netanyahu con qualsiasi trovata di propaganda a suo vantaggio.
Anche la qualità del giudizio in sede giuridica esprime una sentenza ancora più pesante da tollerare perché emettendo ugualmente condanna ai leader di Hamas mette sullo stesso piano il presidente regolarmente eletto di uno stato sovrano e tre capi di una organizzazione terroristica.
Le conseguenze a questa sentenza sono ugualmente fuori registro. In testa a tutti Matteo Salvini che afferma: “se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto”.
E non c’entra qui la sensibilità di ciascuno o l’analisi geopolitica sul conflitto in atto, quindi non entrano le posizioni per cui si può prendere parte più a favore di uno dei contendenti. Sono orientamenti personali determinati da simpatie soggettive o da impostazioni storico-critiche che davanti un fenomeno devastante come questa guerra non hanno alcun valore, se non quello della discussione da salotto.
IL momento dei dibattiti deve essere superato. Ed insieme anche quello del tirare il pollice verso o il pollice recto. Nessuno ha potere per giudicare alcunché. E a nessuno, soprattutto, interessa il nostro giudizio.
Oggi più che mai si debbono prendere soluzioni in grado di costringere i contendenti attorno a un tavolo per indurre al rilascio dei prigionieri del 7 ottobre (o almeno i sopravvissuti da quell’eccidio perdurato) con una garanzia delle sospensioni di belligeranza e la comune accettazione della presenza di un esercito a fare da controllo nella fine delle ostilità. È difficile capire quale possa essere l’esercito in grado di accreditarsi tanta fiducia, ma comunque la soluzione deve trovarsi in questo percorso dialettico.
Emettere sentenze durante i giochi di guerra non serve proprio a nessuno. Non ci saranno espulsioni. I contendenti non saranno indotti a più miti consigli. Solo si rafforzerà il convincimento da parte di tutto un mondo in guerra di essere solo nel mondo. E questo di nuovo non aiuta la tregua.