“La violenza contro le donne è forse la violazione dei diritti umani più vergognosa. Essa non conosce confini, né geografia, cultura o ricchezza. Fintanto che continuerà, non potremo pretendere di aver compiuto dei reali progressi verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace”. Lo disse il Nobel per la pace Kofi Annan nelle vesti di Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Nel ’99 è stata scelta la data del 25 novembre per fissare il valore fondante delle donne nella costruzione del nostro vivere in ogni sua manifestazione ed espressione. Per tanto l’opposizione netta, ferma, senza limiti e condizioni alle manifestazioni di violenza contro di loro. In tal senso la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro donne. Deve porsi come momento di affermazione positiva di un valore non semplicemente l’opposizione alla brutalità nei diversi luoghi e modi in cui si afferma.
È stata scelta proprio questa data per ricordare l’assassinio delle coraggiose sorelle Mirabal, Patria Mercedes, María Argentina Minerva e Antonia María Teresa, brutalmente uccise dal regime del dittatore Trujillo nel 1960.
Un momento, una giornata dedicata, per riflettere e combattere contro la violenza di genere. Sia manifestata in modo fisico che nelle tante versioni psicologiche ogni volta che oggetto di questa sopraffazione sia una donna.
Le sorelle Mirabal, giova ricordare, furono tre donne che pagarono con la vita il sostegno alla lotta contro un regime dittatoriale di Trujilo nella Repubblica Dominicana. Era il 25 novembre del 1960. La data è emblematica perché la tortura e la morte procurata a quelle tre donne non aveva semplicemente una spiegazione politica. Si recavano a far visita ai mariti arrestati dal regime. La violenza e la morte procurata su di loro evidenziava il disprezzo per il loro essere donna. Di qui la necessità di sottolineare un lato della violenza procurata riguardante il genere femminile e che, probabilmente ma solo probabilmente, attiene a una caratteristica tipica dei nostri tempi. Nell’età in cui il ruolo della donna assume tratti di chiaro, evidente, naturale avanzamento, ci sono ambiti della psiche in alcuni tali da non riuscire a sostenere tutto questo.
Ma l’errore che si può fare nell’analisi sui fenomeni di violenza contro le donne e di femminicidio rischia la generalizzazione e la categorizzazione.
L’errore consiste, ad esempio, nell’esibire numeri. È un errore metodologico perché non possiamo fare raffronti con i dati del passato per fare un riscontro.
L’errore consiste, nuovamente, nell’affrontare il problema in termine sparso e generalissimo. Vanno invece descritte le storie che scaturiscono con una vittima per comprendere bene come il volto omicida possa somigliare a tanti altri che abbiamo conosciuto e dall’apparenza di persone inappuntabili, “anche se aventi qualche aspetto incognito e inspiegabile”.
Il problema c’è ed è un macigno di cui l’Occidente deve farsi carico e superare. Ma non potrà mai farlo guardando al dato generalissimo. Tanti casi singoli, la loro precisa narrazione, il racconto delle tipologie psicologiche può aiutare ciascuno a riconoscersi e a difendersi. Sia che ci si trovi nella parte della vittima sia nella parte del carnefice.