Qualche studioso di fenomeni sociali dovrebbe spiegarci il motivo di tanta disparità negli odi disseminati nel nostro sentire comune. Infatti il caso israeliano è generalmente esecrato a suon di manifestazioni pubbliche e pronunciamenti gravi di importanti personalità. Tanta acredine nei confronti del premier Netanyahu. E si considera il suo come un attacco militare a una popolazione quasi inerme. E non è assolutamente così. Giova ripetere anche se si ribadisce l’ovvio che la reazione militare israeliana è la conseguenza di una strage perpetrata a cielo aperto nei confronti di giovani che festeggiavano in un rave. Il perpetrarsi della guerra è dovuto al fatto che i molti ostaggi in mano all’organizzazione militare di Hamas non sono stati rilasciati. Dietro la vicenda e la reazione dell’esercito israeliano ci sono contese che durano dal 1948 in cui Israele rappresenta un presidio dell’Occidente in una terra di scorribande arabe. Il giudizio che si legge su molta stampa nostrana ha messo in campo l’espressione “genocidio” per stigmatizzare le proporzioni di tanta reazione. Senza entrare nel merito della questione stiamo comunque parlando sempre di “reazione”.
Tutto diverso il caso tra Russia e Ucraina dove c’è l’erede degli zar che muove guerra nei confronti dell’Ucraina perché questo paese vuole entrare nell’influenza dei paesi di alleanza atlantica, la Nato. Operazione che Putin non può sopportare davanti casa sua. L’azione militare perpetrata dalla Russia non ha scrupoli sulle vite umane che lascia a terra. Le ultime notizie danno dell’Ucraina un paese al buio. Missili e droni hanno falcidiato la rete energetica. Circa un milione di ucraini sta senza collegamenti alla rete elettrica e bisogna sempre ricordare che da quelle parti l’inverno non è una passeggiata. I raid contro le infrastrutture ucraine non si sono mai fermati, anche quando si ventilava l’ipotesi di una tregua.
Ebbene, la stigmatizzazione nei confronti del fenomeno Putin non è pesante, ardua, come quella del fenomeno Netanyahu. Nel senso che su quest’ultimo, come si ripete, la polemica è feroce fino a manifestazioni pubbliche piene di tensione.
E si ripete, senza entrare nel merito delle due questioni in sé, si vuole capire il motivo per cui una questione è ritenuta assai più grave di quanto sia intesa l’altra.
Non è la maggiore o minore vicinanza ai nostri confini. Entrambe i conflitti ci coinvolgono direttamente sul piano emotivo come sul piano degli interessi. Ma il premier israeliano è considerato dai più cattivissimo su Putin si sorvola.
Senza scomodare ipotesi di propaganda surrettizia da parte della Russia e di emolumenti elargiti a comunicatori occulti, come anche a nostre personalità politiche su casi la cui istruttoria penale è ancora in corso, si intende capire perché tra due drammi uno coinvolga di più e induca al giudizio sommario e lapidario.
È forse il fatto che la Russia ha vissuto in maggiore consonanza con il nostro paese per una miriade di fattori e le sue vicende hanno coinvolto l’immaginario sociale del nostro paese in modo più avvincente? Avendo assorbito la letteratura di quel paese ma anche gli scampoli ideologici durati fino a più di trenta anni fa ci sentiamo maggiormente debitori alla Russia?
C’entra forse il fatto che l’antisemitismo esiste? Esce fuori ma solo se sollecitato? Come fosse una malattia dello spirito sociale di ignote origini che si risveglia ogni qual volta vengano toccate delle remote origini del subconscio?
Dovremmo riuscire a lavorarci sopra. Dovremmo sforzarci di trovare una risposta almeno ipotetica. E prendere questa occasione dei due disastri appena fuori dei nostri confini per interrogare dal profondo noi stessi cercando di migliorarci.