Coi redditi giù del 7% e l’inflazione in crescita non si può pretendere ottimismo dagli italiani intervistati. Venerdì 6 dicembre il Censis ha presentato il tradizionale studio di fine anno che fotografa diversi aspetti della nostra realtà nazionale. Quelli da noi prodotti per nostra arretratezza o per nostre virtù ma anche e soprattutto quelli ereditati dal tempo e della congiuntura internazionale.
Secondo i sociologi del Censis l’Italia vive il malessere sociale sostanziato dalla fragilità europea. E anche se abbiamo un governo stabile nulla può per riparare la condizione dell’Unione Europea in ristagno.
D’altra parte, tornando in Italia, “si sono alternati miti e speranze della programmazione e delle riforme, senza rimuovere le incrostazioni del passato – si scrive esplicitamente nel rapporto – Non hanno funzionato le ipotesi di un governo per carisma, per sovrabbondanza di poteri, per esercizio di capipopolo che decidono per tutti battendo i pugni sul tavolo. In mezzo, le abbiamo provate tutte: i governi tecnici dei migliori o di transizione, i governi sovranisti o populisti, la devoluzione dei poteri e l’autonomia differenziata, l’antipolitica asfaltante”.
C’è stata una ripresa nel dopo pandemia ed è stata apostrofata con espressioni molto colorite che probabilmente presagivano la fatuità della sua sostanza perché sostenuta dall’indebitamento pubblico. IN questa condizione: “le prospettive di crescita dell’Italia si vanno rapidamente annuvolando”.
“La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati – sempre il Censis – Il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi. Anche nella dialettica sociale, la sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia“.
“Il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti, il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso. Se il ceto medio si sfibra, il Paese non è più immune al rischio delle trappole identitarie”.
Ma tra i conti che non tornano nel sistema, in cui il numero di occupati si è attestato a 23.878.000 nella media dei primi sei mesi dell’anno, con un incremento di un milione e mezzo di posti di lavoro, c’è quello che è stato chiamato “imbuto dei patrimoni”.
Con l’espressione icastica si guarda all’ imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza. La flessione delle nascite comporta la riduzione del numero degli eredi. Quindi in prospettiva le eredità si concentrano.
– Oggi le famiglie della «generazione silenziosa» (i nati prima della Seconda guerra mondiale) e del baby boom (i nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60) detengono insieme il 58,3% della ricchezza netta delle famiglie (Censis) –
Quello che il Censis velatamente prevede nelle nuove generazioni già in opera – generazione X (1965-80), generazione Z (nati nell’ultimo decennio del secolo scorso e nei primi del Duemila) – avranno una minore propensione al rischio imprenditoriale. In questo modo la conseguenza sarebbe quella di comprimere le aspettative dei potenziali rentier.
Non capire la necessità di dinamismo per continuare a vivere secondo standard consolidati, consiste in quella figura del “mettere la polvere sotto il tappeto”. In politica – scrive sempre il Censis – è la premessa evidente di una crisi più profonda che di lì a poco emergerà in tutta la sua imponenza. Ma la condizione di ristagno riguarda tutta l’Europa. La sveglia potrebbe essere suonata nelle ultime elezioni in cui si è rinnovato il parlamento europeo.