Questi trenta anni hanno visto avvicendarsi governi tecnici, sinistri o destri, comunque centristicamente determinati. E su tutti un tormentone non ha mai cessato di suonare il suo motivo: la Costituzione!
Fare o non fare cose del tipo riforme del sistema elettorale, monocameralismo fattuale, maggiori poteri all’esecutivo o al presidente eletto direttamente da cittadini … Tutte materie discutibili ma che trovavano piombare la mannaia dell’impossibile con il richiamo alla Costituzione.
Tutti sanno le circostanze storiche in cui fu discussa, votata, eletta. La grande confluenza di forze democratiche era mirata a costruire una grande difesa al mantenimento delle forze elette nel paese temendo la ricaduta in condizioni di restrizione delle libertà individuali. Il tutto sancito con una grande enfasi, ma forse potrebbe dire anche retorica. A cominciare dall’idea di fondazione dello Stato dal lavoro. Una partenza talmente concettuale da far diventare la cosa più pratica della terra, come il lavoro, una materia di discussione dialettica. E per di più nella sua pratica applicazione, consistente nel diritto al lavoro per tutti, inapplicabile.
La divisione dei poteri, così come montesquienamente concepiti. Legislativo, esecutivo, giudiziario. Ma divisi in modo che ciascuno avesse delle aderenze nell’altro e in modo che nessuno dei tre potesse tentare il volo per suo conto. Ma è successo proprio il contrario, tanto che oggi si parla serenamente di “colpo di stato delle toghe nei confronti del governo facilitato dalla caduta del muro di berlino” parlando di quanto avvenne nel ’92 che determinò la fine della Prima Repubblica. Di lì lo scontro è stato permanente, ben oltre le vicende giudiziarie singole. Anzi, le occasioni in cui il personaggio pubblico di turno veniva inquisito, a ragione o torto, venivano interpretate come ingerenze nella magistratura nella politica attiva. Oggi vediamo un impegno più che militante dell’associazione magistrati nel difendere quello schema costituzionale che vede l’alto ufficio del giudizio immesso nella stessa categoria professionale della pubblica accusa. Magistrati che intervengono sistematicamente nel dibattito pubblico e oramai non fanno notizia i passaggi nell’agone politico vero e proprio. Così va. Ma si fanfaluca ancora della divisione originaria tra i poteri e la correttezza di quella intermediazione prevista in Costituzione per cui l’uno dovrebbe controllare l’altro. Con buona pace dell’ambito nella sfera legislativa che oramai conta poco, la lotta è tra esecutivo e giudiziario. Sempre. E il popolo italiano si è anche stancato nell’assistere a queste scaramucce di potere consentite dal concetto di intermediazione presente nella Costituzione.
Ma di aspetti ce ne sono a non finire. L’articolo trentadue e il diritto alla cura per la salute in senso universalistico. Diritto che investe chiunque entri nel territorio italiano. Un articolo bellissimo e di grande avanguardia nel nostro paese! Solo che non è applicato, così come il diritto al lavoro.
La divisione del territorio in regioni e su queste costruire l’amministrazione delle rispettive risorse. È il famoso Titolo Quinto! Anche questo applicato in modo fallace, le materie amministrate dagli enti regione sono state oggetto continuo di ritorno e rettifica da parte del governo centrale. Prima fra queste Sanità e Urbanistica concorrono nel rappresentare degnamente il declino del paese. (…).
E non si dica che la Costituzione è il primo passaggio obbligato per la democrazia di un paese. Ci sono rispettabilissime realtà che non ce l’hanno. Si vede il Regno Unito che ha adottato la Magna Charta o gli Stati Uniti che riconoscono un’asse esclusivamente valoriale di principi.
La nostra Costituzione invece da troppo tempo finisce per determinare l’anchilosi di una nazione che già si modifica a fatica. Mettendo paletti e vincoli, difficili da sormontare, diventa semplicemente una realtà irriformabile.
Le leggi ordinarie nel mondo di oggi sono sufficienti. Si lavori per far funzionare le cose solo su quelle.