IL Giubileo che si apre a Roma domani con l’apertura della Porta Santa può essere diversamente inteso.
– Grande affare per la Santa Chiesa di Roma con la città-Capitale come socio. Occasione per ribadire la centralità della Chiesa di Roma sulle altre confessioni nel mondo. Momento di bilancio di fede per i fatti accaduti nella precedente fase e verificare un modo per sostanziare la cristianità nelle cose della vita terrena. Ciclica rammemorazione del fatto che è la Chiesa a comprendere, analizzare, tesaurizzare i motivi e luoghi del peccato e la necessità della loro redenzione. Creazione del grande evento permanente affinché la voce del Santo Padre possa avere una risonanza maggiore. Riaffermare la grande centralità di Roma nella mondità del messaggio cristiano e confermarla come sede storica per la casa del mondo cattolico: il cristianesimo vive nel mondo ma anche Roma è mondo e in questo rito ciclico trovano identità – (…).
Se ne potrebbero aggiungere altri ancora ma il Pontefice su X ne trova un altro tale da riaffermare l’universalità del messaggio cristiano e in contempo il ritrovarlo come immanenza nella presenza di ogni fedele.
È quando pone l’identità della soggettività in coesione totale alla comunità. Non all’idea di comunità né ci si riferisce a un “io astratto”. Piuttosto, sembra voler dire, che ogni cristiano è un buon cristiano se riesce a far vivere il suo sentimento di religiosità nel mondo in modo integrato al suo mondo di appartenenza.
Bergoglio ha infatti scritto: “Giubilei sono momenti preziosi per fare il punto della nostra vita, sia come singole persone che come comunità.
Sono inoltre occasioni di riflessione, di raccoglimento e di ascolto di ciò che lo Spirito Santo oggi ci dice”.
Nello spirito del cristianesimo cosa siamo noi come coscienziosità non basta più. C’è bisogno invece di veder rispecchiato questo sentimento al cospetto delle relazioni con le quali interagiamo. Non servirebbe a nulla rispettare un credo dottrinario nel chiuso della propria stanza senza farsene portavoce e diffusore nella società reale. È il mondo reale che noi costruiamo, l’insieme e il complesso dei rapporti a farne l’essenza del nostro stesso cristianesimo. E, viene da dire, se viviamo in un mondo poco solidare, dove sussistono guerre tra popoli vicini, dove le differenze sociali si sono accentuate nell’incuranza di nuovi poveri nascosti totalmente dalla scena, è il segno che stiamo lavorando male.
E allora questo Giubileo non deve essere solo l’occasione per una passeggiata a Roma o per vedere come sono stati sistemati piazza Risorgimento, via Ottaviano e piazza Pia. Deve essere il luogo in cui nella sua sede al Santo Padre gli si chieda l’impegno sotteso alla scelta esistenziale di ogni cristiano. Essere portatore di pace, ma col proprio esempio e con interventi pacificatori. Evitando censure in grado solo di inasprire ulteriormente gli animi.
Questo affinché sia almeno un anno di pace. Almeno questo!