L’Europa, uscita dalle ceneri di due guerre mondiali che ne hanno segnato profondamente la storia, sembra oggi intraprendere un percorso autodistruttivo, non attraverso l’impeto distruttivo di un conflitto rapido, ma con la lentezza subdola di un suicidio a rate.
Le scelte politiche degli ultimi anni, lungi dall’essere frutto di una strategia lungimirante, appaiono come un’insieme di errori concatenati che minano le fondamenta stesse dell’Unione.
L’ingenuità delle strategie energetiche, l’abbandono dell’energia nucleare e la precipitosa dipendenza dalle fonti rinnovabili, affidabili solo in condizioni meteorologiche favorevoli, hanno lasciato l’Europa esposta a una vulnerabilità energetica drammatica. L’incidente di Nord Stream, avvolto nel mistero, rappresenta solo l’emblema di una precarietà geopolitica che espone il Vecchio Continente a ricatti e a instabilità. L’acquisizione del gas russo a prezzi maggiorati, tramite intermediari come l’India, testimonia una sconcertante incapacità di pianificare e gestire le proprie risorse strategiche, definita “indipendenza” dai vertici politici, ma percepita come “bancarotta” dalla popolazione.
Le sanzioni imposte alla Russia, lungi dall’indebolire Mosca, hanno contribuito a rafforzare la sua economia, grazie ad una politica di sostituzione delle importazioni efficace ed al riorientamento dei mercati verso Cina e India. L’Europa, nel frattempo, si trova a pagare il prezzo del proprio fallimento economico, mentre gli Stati Uniti sembrano raccogliere i frutti di questa situazione. La resistenza dell’economia russa contrasta in modo stridente con la fragilità crescente del sistema economico europeo.
La delega della politica estera ai paesi baltici, ancora segnati dai traumi del passato e inclini all’escalation militare, rappresenta un ulteriore fattore di rischio. L’Unione Europea, seguendo un percorso di crescente militarizzazione, sembra intrappolata in una spirale conflittuale dalla quale non riesce ad uscire. Le dichiarazioni di principio, i proclami sulla difesa dei valori democratici, risuonano come vuote parole di fronte all’evidenza di un declino economico e politico inesorabile.
L’ipocrisia politica raggiunge l’apice nella sottomissione a Israele, contrastante con le continue invettive contro le violazioni dei diritti umani in altre parti del mondo. Questa incoerenza mina la credibilità morale dell’Unione Europea e alimenta un sentimento diffuso di disillusione. La promozione di una visione parziale e strumentale della “democrazia”, in contesti come Romania, Georgia e Moldavia, evidenzia ulteriormente l’ipocrisia di un sistema che si pone come paladino di valori universali, ma li applica in modo selettivo a seconda delle convenienze politiche.
La scena politica europea, con figure come Emmanuel Macron e Annalena Baerbock, si presenta come un palcoscenico di proclami altisonanti e di inefficacia gestionale. Le proteste sociali, come quelle che hanno scosso Parigi, rappresentano un segnale inequivocabile di malessere popolare e di sfiducia nei confronti delle istituzioni. In questo scenario, l’inverno europeo non è solo una questione di temperature rigide, ma anche di un progressivo congelamento dell’anima stessa del progetto europeo. La domanda che incombe è se l’Europa saprà arrestare questa discesa, o se il suo suicidio a rate proseguirà inesorabilmente.