Nel circuito mediatico formato sul caso dell’arresto di Cecilia Sala si concentra la fantasia ipotetica dei commentatori con velato riferimento a un grande informatore in grado di dare una versione diversa da quella chiara ed evidente. Secondo una versione accreditata Cecilia Sala avrebbe un identikit perfetto per fare clamore e spingere a una trattativa internazionale con scambio di prigionieri. La differenza è che il nostro mondo, l’Occidente, la Nato, darebbe dei terroristi.
Non si capisce bene da dove arrivi questa soffiata. Esiste un convitato di pietra nella giustamente silenziosa trattativa impostata dalle autorità italiane. Questa contro-versione tende quasi a scoraggiare ogni attività diplomatica per inserire il problema in ordine e specie anti-spionistica. La inserisce quindi in una tipologia completamente diversa.
La trappola in questo caso è evidente. Si inserirebbe il caso in un altro assai più grande per delegare sostanzialmente gli americani a sciogliere il bandolo della trattativa. E la tentazione sarebbe di farlo avendo gli Stati Uniti una voce ben più altisonante della piccola Italia.
Ma così non è. In questa trattativa invece si deve volare bassissimo e bene ha fatto Tajani a dare dichiarazioni solo di circostanza senza dare assicurazioni a niente e a nessuno.
Si dovrebbe anche soprassedere sulle chiacchiere da bar per cui si discute il ruolo degli inviati in terre così delicate, tanto più di età così giovane e poco formati. L’inviato è il seme del giornalismo e, pur dovendo contenere le esplorazioni rischiose, ha la funzione di dare occhi a scene reali sulle quali invece saremmo ridotti ai comunicati degli eserciti. Ribadito questo, l’obiettivo ora deve essere quello di riportare Cecilia Sala a casa.
Lo si fa seguendo le procedure e richiedendo i capi di imputazione per i quali è stata arrestata per costruire una sua difesa. Tutto questo nel massimo rispetto delle procedure iraniane. Se possibile e con tatto, sollecitarne la sollevazione dagli oneri restrittivi della libertà! Anche perché si può dimostrare benissimo che la giornalista non ha nulla di ostativo al rispetto di leggi e modalità d’essere presenti a Teheran. Il suo non era assolutamente spionaggio bensì raccolta di pensieri, opinioni e idee dalle persone che abitano quel contesto. Pratiche svolte con grande naturalezza nei nostri paesi.
Se è necessario chiedere scusa, laddove si è superato i limiti del tatto e del riserbo di quel paese, farlo senza problemi. L’importante è portare a casa Cecilia Sala. In tal senso la richiesta di silenzio non è peregrina. Non si tratta di non parlare del caso bensì di evitare facili speculazioni sul “prima” e inutili requisitorie sulle condizioni di vita presenti nella realtà di ogni inviato.
L’attenzione può essere altissima anche senza ipotesi di coinvolgimenti e chiacchiere sulla terribilità del mondo al di fuori dei paesi dell’Occidente. Lo dobbiamo alla delicatezza di una questione apertissima.