Non c’è nesso tra l’arresto di Cecilia Sala in Iran e il fermo a cui è sottoposto l’ingegnere Abedini in Italia. Lo ha detto a chiare lettere Esmaeil Baghaei, portavoce del ministro degli Esteri iraniano. Cecilia Sala, secondo il diplomatico, ha violato le leggi islamiche. Ma non specifica quali. Dirlo spetta alla magistratura o ai suoi portavoce. Come dargli torto? Come non seguire questo filone di trattativa in cui ci si deve concentrare unicamente sul caso di Cecilia Sala evitando associazioni all’arresto dell’ingegnere avvenuto tre giorni prima, il 16 dicembre, all’aeroporto Malpensa.
IL metodo degli arresti nel proprio territorio a cittadini islamici è invece stato oggetto di accusa da parte sempre del portavoce. Ha rigettato totalmente la pratica di prendere gli ostaggi per porli come oggetto di trattativa, anche se in verità diverse volte proprio questo è successo da parte della repubblica islamica.
Baghaei argomenta in modo da smantellare il dibattito avvenuto nel nostro paese in questi giorni. Ha infatti detto il portavoce: “la nostra richiesta ai paesi è di non lasciare che le loro relazioni bilaterali con l’Iran siano influenzate dalle richieste illegali di terzi”. E continua rigettando tale pratica agli americani: “gli Stati Uniti prendono in ostaggio gli iraniani nel mondo, imponendo le loro leggi in altri paesi: questo non solo danneggerà i legami Iran-Italia, ma è contro le leggi internazionali”.
Potrebbe trattarsi di dichiarazioni volte a confondere le idee e far viaggiare invece una trattativa segreta in grado di essere al riparo da ogni elemento di conoscenza riguardo a quanto illecitamente i paesi stanno trattando. L’Italia al riparo degli Stati Uniti sta preparando le condizioni per rispondere ai desiderata iraniani. L’Iran dovrebbe lo stesso agire in massima riservatezza per trovare le ragioni che giustifichino il rilascio di Cecilia Sala che, se arrestata per dei motivi specifici debbono essere cancellati per giustificarne il rilascio. Quindi meglio che non siano detti.
L’invocazione al silenzio stampa, alla riservatezza, starebbe tutto qui.
La richiesta che ogni lettore può fare di questi eventi si sintetizza al fare al più presto possibile perché la condizione e le ragioni di detenzione per la giornalista non si ingarbuglino ancora di più nelle motivazioni dei cavillosi giureconsulti.
Fa paura il pensiero di come tutto ciò possa essere affidato sulle mani dei nostri diplomatici che finora hanno saputo solo chiedere il silenzio stampa come fossero una nazionale di calcio impegnata ai mondiali.
Se ci si immagina una posta, in questa trattativa – un oggetto di scambio che vada molto al di là del semplice caso di una giornalista arrestata per una violazione in terra islamica – è anche vero però l’inutilità di silenziare del tutto la sussistenza di una trattativa.
C’è sicuramente l’immagine di un paese, il nostro, che non può essere messo alla frusta da un gioco di ricatti attraverso operazioni indebite presso suoi concittadini in terra straniera. Sarebbe un modo per auto evidenziare la nostra vulnerabilità nel mondo. Ma questo è l’Italia. Un paese che non ha peso specifico. La nostra attività può essere quella di cooperazione, di convivenza pacifica, di interconnessione tra i blocchi.
Quindi recedere da ogni tentazione di fare i gendarmi agli americani. Trattare per la liberazione dei nostri cittadini arrestati, capendone anche le ragioni se ve ne sono, e chiudere il caso prima che diventi ancora più complicato da inutili dichiarazioni di principio.
Dobbiamo farlo per Cecilia. E dobbiamo fare in fretta.