Che questa celebrazione sulla terribilità della Shoah sia diventata una cerimonia sterile e puramente rappresentativa si può dire? Che fatta in questo modo si perde nell’obiettivo di far entrare nel sentire diffuso il senso di terribilità in quanto accadde con l’Olocausto nazista aiutato dai fascisti? La cosa che ci ha dato l’ultima celebrazione, avvenuta nel giorno della Memoria celebrato l’ultimo 27 gennaio, consiste nella dichiarazione di Giorgia Meloni sull’ammissione della collaborazione dei fascisti e sullo stigma assegnato a questa pagina nera della nostra Storia.
Sicuramente una conquista democratica l’ammissione da parte della ducetta dei nostri tempi circa lo schifo degli italiani in camicia nera. Sarebbe servito anche l’espressione del senso di vergogna per le leggi razziali.
Ma per tornare all’efficacia della celebrazione dobbiamo pur chiederci il suo valore in una condizione generale in cui l’antisemitismo uscito dalla porta rientra dalla finestra attraverso manifestazione di apparente antisionismo ma che per loro gravame astioso danno l’evidenza di un rancore più recondito, –profondo, e finora non espresso in questi termini.
Che senso ha parlare dell’odio contro gli ebrei se in ogni dove fuoriesce anche da organizzazioni come l’Anpi? Sapevamo già, del resto, che l’odio contro gli ebrei non nasce e si esaurisce con il nazionalsocialismo. Sarebbe innumerevole la conta dei grandi personaggi che hanno scritto pagine importanti nel pensiero dell’Ottocento avere avversità verso gli ebrei.
Ma tornando ai fatti delle recenti cronache abbiamo assistito a manifestazioni pro Palestina dove di antisemitismo ne trasudava a go go. Teatro ne è stato Porta San Paolo e due giorni fa la Piramide Cestia che gli sta accanto. Una scritta dà degli ipocriti a quelli dell’Anpi che hanno brillato in posizioni anti-Israele, troppo accese per esprimere una semplice convinzione giustamente pacifista bensì piene di animosità generalizzata a tutta la questione sionista.
Il lavoro non sarebbe tanto nelle celebrazioni di massa quanto piuttosto in un’attenzione psicoanalitica per capire nel profondo quali sono le ragioni di tanta avversione. Quali corde vanno a toccare gli appartenenti a un’altra religione che si sono sparsi e ben affermati nel mondo? È questa affermazione a dare fastidio?
Qualsiasi risposta la dobbiamo cercare. E il lavoro sta tutto in questa ricerca piuttosto che nella ripetizione solenne di principi buoni per tutti, a parole, ma poi contraddetti nelle pratiche manifestazioni.