È una notizia il fatto che alcuni deputati in una chat parlino di Matteo Salvini come un bimbo-minkia? Aggiunge o toglie qualcosa al nostro panorama conoscitivo o alla necessità di essere informati sugli accadimenti del mondo? Niente affatto. Ci dice e ci conferma come tutti noi, nessuno escluso, tanto più coloro che sono deputati ad affrontare grandi responsabilità, siamo soggetti a momenti liberatori nell’espressione. Ed anche che questi momenti di liberazione consistono effettivamente nella sostanza del nostro pensiero e della capacità di evocare concetti in modo netto e diretto.
I sentimenti morali, le pulsioni che li muovono o li frenano, restano sullo sfondo e forniscono il supporto decisivo, ma entrare in questi ambiti consiste in una materia non soggetta ad essere trasferita in altre sfere, quali quelle delle grandi responsabilità pubbliche.
Chiunque di noi parlando con amici, allo stadio, al bar, in mille circostanze liberatorie parla in modo libero e volutamente icastico: nel senso del comunicare con brevi epigrammatiche espressioni uno stato d’essere.
Non è una notizia, non può esserlo, il fatto di leggere di alcune persone in vista parlare con tanta libertà.
Un soggetto politico deve essere giudicato in base esclusiva delle sue azioni in termini delle responsabilità di Stato a cui è chiamato.
Il grande richiamo su un libro che pubblica le parole scritte su Whats App, ed è come se fossero dette in un ambito privato, non aggiunge e non toglie nulla a un aggiornamento sugli accadimenti. Ci dice che chi le scrive è uguale a tutti gli altri. Ci dice che questo strumento mediatico assume sempre il ruolo del linguaggio parlato, della comunicazione estemporanea, togliendo l’antica sacralità agli scripta manent.
Quegli scritti non rimangono. Sono destinati al momento in cui sono scritti e assimilati dal lettore per poi essere cancellati o tutt’al più ricordati ma solo come aneddotica.
Ma a guardar bene dicono anche molto di coloro che si appassionano a questo genere letterario e ne fanno terreno di dibattito nei talk show. C’è bisogno di irridere l’avversario o colui che è chiamato a grandi responsabilità per sentirlo vicino, non lontano, non arrivato o invincibile. Vulnerabile e fallibile come qualsiasi di coloro che ascoltano.
Se fossero rese pubbliche le conversazioni di ciascuno di noi con amici e colleghi più stretti uscirebbero condimenti inaspettati a tutto e a tutti. E questo deve far parte di una coscienza laica ben presente in ciascuno di noi.
Per tanto dovremo liberarci anche dalla curiosità pruriginosa di ascoltare o guardare dal buco della serratura. E non solo perché potremo scoprire con spiacevole sorpresa che stanno parlando di noi, ma anche perché questo piano di interdizione del pensiero non consente di pensare alle cose che contano.
E tra queste ci sono coloro che ordinano questi servizi di spionaggio oltre ai soggetti predisposti a effettuarli.