“Il fine giustifica i mezzi”. Così scriveva Machiavelli nel “Principe” parlando dell’inevitabile immoralità di determinate azioni politiche intraprese dall’uomo di potere per raggiungere obiettivi di interesse collettivo. Mi son trovato spesso (si veda il caso Almasri) ad esser concorde con questo principio, in quelle situazioni dove il dover annichilire remore deontologiche ed etiche al fine di tutelare il bene comune, non è considerato scandaloso.
In occasione della giornata dell’8 marzo, dove la donna giustamente viene posta al centro dell’interesse mediatico, arriva il via libera al disegno di legge che rende il “Femminicidio” non più solo una semplice parola utilizzata per indicare la morte violenta di una persona di sesso femminile.
Infatti, la proposta proveniente dal CdM è quella di renderlo reato autonomo, punibile con l’ergastolo.
L’iniziativa del governo meloniano sembra però propagare odore di slogan concomitante con la giornata della festa della donna e non solo. È infatti legittimo pensare che essa sia stata lanciata anche per tacciare le ripetute accuse dell’opposizione sullo scarso interesse che la sinistra ritiene abbia la maggioranza sul tema. Eppure sia il ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Roccella sia il ministro per le Riforme Istituzionali Casellati parlano rispettivamente di “novità dirompente sul piano giuridico e culturale” e di “atto propedeutico a un testo unico sulla violenza di genere che dovrà arginare un bollettino di guerra di ben 99 donne uccise nel 2024 con già 3 solo a gennaio”.
Aggiornando i dati della Casellati, abbiamo ad oggi 8 casi di femminicidio. Partendo dal presupposto quasi lapalissiano che anche un singolo caso è orribile, inaccettabile e numeroso, rispetto al 2024 il fenomeno è in calo del 60 % (lo scorso anno nello stesso periodo erano già 20). Inoltre l’Italia, su cui da sempre aleggia il tradizionale fantasma del patriarcato e della gerarchia familiare, è tra i paesi al mondo con minor incidenza di femminicidi. Rapportandolo al numero degli abitanti, la Francia ha quasi il doppio dei casi e gli Stati Uniti arrivano persino a qualche migliaia.
Tuttavia i dati elencati sono puramente informativi e anche senza essi si comprenderebbe un ragionamento molto basico: come può essere approvata una legge del genere che discrimina in toto l’essere umano maschile? Su quale base etica, morale, giuridica, filosofica, esistenziale, uccidere un uomo risulterebbe meno grave che uccidere una donna?
Il disegno di legge ideato per tentare di ridurre drasticamente un fenomeno disgustoso, in realtà non mette in luce che una netta disuguaglianza, confutando l’assunto machiavelliano e non giustificando per il nobile fine nessuno dei mezzi proposti.
A San Severo, in provincia di Foggia, mercoledì scorso Mario la Pietra, muratore di 29enne, è stato ucciso dalla moglie con una coltellata al ventre davanti ai suoi due figli. Il motivo? Una lite per qualche sigaretta. Ad oggi la donna, sulla quale non son state trovate tracce di violenza e colluttazione, risulta ancora a piede libero. Che cosa si sarebbe scatenato se il terribile fatto si fosse svolto al contrario? C’è stato qualcuno che ha tentato di parlare del reato di “maschicidio” nonostante nel 2024 gli uomini uccisi siano risultati quasi il doppio delle donne?
Ma è difficile spiegarlo a quelle persone che sembrano aver infettato addirittura un governo fin ad ora coerente in determinati principi ideologici e per le quali ogni terribile evento è da attribuire ad una causa sociale, al ruolo della donna reclusa, al patriarcato imperante, alle insufficienti quote rosa.
Che colpa ho io, se vi è un essere che attua un quotidiano veneficio sulla propria donna in stato interessante? Che colpa ha l’onesto lettore maschile di questa testata dal criminale che accoltella ripetutamente una ragazza piena di sogni e speranze per poi crudelmente occultarne il cadavere? Nessuna. La responsabilità deve essere sempre intesa come personale, mai collettiva. Questo è il principio di uno stato di diritto, dove non si generalizza, dove deve essere punito il reato commesso dalla volontà individuale, senza tentare di lambire sfere di influenza collettiva. Per di più, l’idea che il patriarcato sia alla base delle uccisioni di donne, stravolge essa stessa dal punto di visto logico l’eventuale correttezza etico-giuridica del reato di femminicidio. Se si rende l’omicidio di una donna una fattispecie a sé di crimine da condannare, lo stesso varrebbe anche se ad uccidere quella donna non fosse un uomo ma un’altra donna? Se la risposta a questa domanda fosse si, crollerebbe l’indotta abduzione e quindi la necessità dello stesso ddl.
Perché in tal caso, il patriarcato nulla c’entrerebbe con i femminicidi se in futuro aumentassero le carnefici donne.
Quindi, il risultato della proposta del Consiglio dei Ministri attua soltanto una discriminazione. Uccidere il sottoscritto risulterebbe meno grave se a morire fosse la mia amata. E per quanto io voglia, possa e debba offrire la mia vita in qualunque caso per proteggerla davanti tutto e tutti, la messa in pratica della proposta è eticamente deleteria. Legiferando in tal modo si reca un danno non tanto al sottoscritto, quanto alle stesse Cecchettin, Tramontano, Gambirasio, Scazzi, Kercher, Deidda, Poggi, Campai che per colpa di un criminale di sesso maschile, rischiano di vedere svalutato nella valutazione giuridica un uomo come il fratello, il padre che tanto amavano solo perché colpevole di aver un cromosoma Y.