Il 21 marzo, tradizionalmente, si sciolgono le brine invernali per far posto ai petali e ai cinguettii. È il giorno in cui la primavera, con la sua energia rigeneratrice, irrompe nel ciclo della natura, segno di un rinnovamento che coinvolge la terra e, in fondo, anche l’animo umano. La stagione della rinascita, tuttavia, non è solo sinonimo di gioia e vitalità. Porta con sé anche una certa apatia da ora legale, un lieve torpore causato dall’abbondanza di pollini e un rallentamento inevitabile dei movimenti e delle abitudini.
Questa miscela di sensazioni contrastanti trova espressione in modo perfetto nel potere evocativo della poesia, che oggi, nella sua Giornata Mondiale, celebra il proprio ruolo centrale nella cultura e nella vita emotiva di ogni individuo. La poesia, infatti, si configura come un linguaggio universale che riesce a catturare, come poche altre forme artistiche, la profondità e la complessità dell’animo umano.
Per chi come me nutre un amore viscerale per le parole, il fascino della lirica è irriducibile. Infatti, tra tutte le forme artistiche, la poesia ha per me un primato indiscusso. La pittura, con la sua evidenza visiva, e la musica, con la sua potenza eterea e astratta, sono straordinari e potenti veicoli dell’umanità; tuttavia è proprio la poesia quella che più profondamente si connette all’interiorità, affondando nella viscerale volontà dell’essere umano di esprimersi e di comprendere la propria esistenza.
Se si guarda all’etimologia della parola “poesia”, essa proviene dal greco antico “ποίησις” (poíesis), che significa “creazione”, “composizione” o “atto di fare”, derivando dal verbo “ποιεῖν” (poiein), che significa “fare”, “creare”, “costruire”. La poesia, dunque, nasce come un atto di creazione, una volontà di esprimere ciò che è più nascosto e intimo. La sua inafferrabilità, la sua capacità di sfuggire a ogni logica tangibile, è anche il segno della sua forza: essa è destinata a rimanere nel cuore delle persone, oltre la comprensione razionale.
Nel contesto della primavera, che celebra oggi il suo ritorno con il 21 marzo, è interessante notare come l’etimologia stessa del termine rimandi a un’idea di verità: deriva dal latino ver, la stessa radice dell’aggettivo verus/a/um da cui prende vita veritas. La stretta connessione tra verità e primavera suggerisce come la verità sia ciò che fa sbocciare la vita, permettendo al gelo dell’inverno di cedere il passo al calore primaverile, il cui ruolo è quello di ridonare vitalità alla terra. È una metafora perfetta per descrivere la potenza della poesia, verità dell’animo umano che, come la primavera, fa fiorire ciò che è sepolto nel gelo dell’inverno interiore.
Questo desiderio di rinnovamento, di risveglio, di ricerca della verità è ben esemplificato in due poesie che oggi sentiamo particolarmente vicine. La poesia di Giuseppe Ungaretti, con il suo verso semplice, profondo, criptico sull’essenzialità del regalo dei versi:
“Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla.”
E la poesia di Alda Merini, che celebra la sua nascita con una riflessione più complessa, legata alla figura mitologica di Proserpina e alla consapevolezza della tempesta che può scatenarsi in una vita fragile:
“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.”
Due liriche che, a loro modo, raccontano la potenza dell’esperienza umana, con le sue contraddizioni e la sua ricerca incessante di un senso, di una verità che possa giustificare il caos e il mistero della vita stessa. La poesia, come la primavera, è un atto di volontà e di creazione, è il fiore che sboccia dall’inquietudine interiore, è l’arte che ci permette di affrontare il nulla e di dare un significato all’esistenza.