Christopher Steele, l’ex 007 dell’MI6 britannico che ha prodotto il dossier che svela informazioni compromettenti su Trump e sugli incontri con la Russia durante la campagna elettorale, è “terrorizzato per la sua sicurezza”. 53enne, laureato a Cambridge e un passato ineccepibile al servizio di Sua Maestà, l’ex spia da ieri è irreperibile, infatti, quando ha capito che era questione di ore prima che i giornali mettessero in piazza il suo nome, in perfetto stile 007, ha messo al sicuro moglie e figli e abbandonato la villetta di Wokingham nel Surrey. I vicini di casa hanno commentato con i media britannici: «Non avevamo idea che fosse una spia».
Una fonte vicina all’ex 007 ha detto al Daily Telegraph che Steele teme la vendetta del Cremlino, all’inizio degli anni ’90 ha lavorato a Mosca sotto copertura e poi come capo del desk russo al quartier generale dell’MI6 a Londra facendosi stimare da superiori e colleghi tra cui Alex Younger, un suo coetaneo ora a capo dell’agenzia.
La Russia era la specialità di Steele, infatti, dopo l’avvelenamento della spia Alexander Litvinenko, Sir John Scarlett che era a capo dell’MI6, lo aveva assegnato al caso e fu Steele, hanno fatto sapere fonti dell’MI6 al Guardian, a capire che l’agente segreto con cui aveva lavorato prima della morte, stato ucciso dal governo Russo.
Nel 2009, Steele aveva dato le dimissioni dall’MI6 e si era messo in proprio e a Belgravia con Christopher Burrows, ex diplomatico del Regno Uniti a Bruxelles e New Delhi, aveva fondato la società di intelligence privata Orbis Business specializzata nell’area Russia e Asia. L’ufficio di Grosvenor Gardens, a pochi passi da Victoria Station, oggi è vuoto.
Al Guardian, una fonte del Foreign Office che conosce Steele da oltre 25 anni ha detto: «Christopher non era un novellino. Liquidare il suo lavoro come un falso o l’opera di un cowboy è scorretto». Steele era giudicato credibile anche negli Stati Uniti. Nel 2010 era stato assunto dall’Fbi per l’inchiesta sulle tangenti della Fifa.
È stato il Wall Street Journal, il giornale di Rupert Murdoch, a mettere ieri in piazza il nome dello 007 a cui lo staff del repubblicano Jeb Bush aveva chiesto di procurare informazioni compromettenti su Trump. Come ex spia basata a Mosca l’ex James Bond non poteva recarsi nella capitale russa a investigare personalmente: aveva riallacciato con vecchi contatti e ne aveva creato di nuovi attraverso intermediari. Secondo il New York Times, Steele non sarebbe stato finora pagato, ma avrebbe continuato il proprio lavoro di investigazione sul presidente eletto anche dopo l’esito del voto.
di Fabio Galli