La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sentenza del 13 luglio 2021 (caso Fedotova e altri), ha condannato la Russia per la violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. I ricorrenti, tre coppie dello stesso sesso, hanno visto respinte le proprie richieste di pubblicazioni di matrimonio dall’Ufficio di Stato Civile in quanto la legislazione nazionale russa fa riferimento al matrimonio solo come “unione coniugale volontaria tra un uomo e una donna”.
Le loro richieste sono stata respinta perché, tra le altre cose, il tribunale ha ritenuto che il matrimonio doveva avere il “consenso volontario di un uomo e di una donna” e che né la Costituzione né la legge internazionale impone alcun obbligo in relazione al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tale decisione è stata confermata in appello.
Basandosi sugli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione), i ricorrenti lamentavano, in particolare, di essere stati discriminati sulla base del loro orientamento sessuale perché non avevano mezzi per garantire una base giuridica alla loro relazione in quanto era per loro impossibile contrarre matrimonio o ricorrere a qualsiasi altra unione formale.
La CEDU, chiamata a verificare se la Russia abbia ottemperato all’obbligo di garantire il rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti ha rilevato che il diritto russo prevede solo una forma di unione familiare: il matrimonio tra persone di sesso diverso. Di conseguenza, in assenza di un riconoscimento formale, alle coppie omosessuali è stato impedito di accedere ad alloggi o programmi di finanziamento, di visitare i partner in ospedale, di avere delle garanzie nei procedimenti penali (il diritto di non testimoniare contro il partner) e, infine, di poter succedere al partner deceduto. Da queste circostanze è scaturito un conflitto tra la realtà sociale dei ricorrenti e la legge che non ha garantito i bisogni più naturali delle coppie omosessuali, causando loro seri ostacoli quotidiani.
I giudici europei hanno preso atto dell’affermazione del Governo russo secondo cui la maggioranza dei cittadini russi disapprova le unioni omosessuali, ma hanno anche specificato che, sebbene il sentimento popolare possa svolgere un ruolo nelle valutazioni che la Corte effettua, lo stesso sentimento popolare non può essere invocato per negare l’accesso di una parte significativa della popolazione al diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare: sarebbe incompatibile con i valori fondanti della Convenzione, in quanto strumento di ordine pubblico europeo, se l’esercizio dei diritti ivi previsti da parte di un gruppo minoritario fosse subordinato alla sua accettazione da parte della maggioranza (cfr. mutatis mutandis, Alekseyev v. Russia; Bayev and Others v. Russia; Beizaras and Levickas v. Lithuania).
La tutela del “matrimonio tradizionale” prevista dagli emendamenti alla Costituzione russa del 2020 è stato considerato, in linea di principio, un interesse importante e legittimo, in virtù degli effetti positivi che avrebbe nel rafforzamento delle unioni familiari; secondo la CEDU, però, il riconoscimento formale delle unioni omosessuali non comporterebbe alcun rischio per il matrimonio tradizionale non impedendo alle coppie di sesso diverso di contrarlo, né di godere dei benefici derivanti dallo stesso.
La Corte, concludendo, ha sottolineato che concedere il riconoscimento formale dello status di coppia in una forma diversa dal matrimonio non sarebbe in conflitto con la concezione tradizionale del matrimonio prevalente in Russia o con le opinioni della maggioranza della popolazione cui il Governo ha fatto riferimento; dette opinioni, infatti, contrarie solo ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, non precludono l’esistenza di altre forme di riconoscimento legale che potrebbero esistere.
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