Il fine settimana appena trascorso il presidente Mattarella, accompagnato dal ministro degli esteri Di Maio, lo ha trascorso in Algeria. Non poteva esserci tempistica migliore per questa missione nel Paese Nord-africano. L’agenda ufficiale ha visto la firma di tre accordi in materia di Istruzione, Giustizia e Conservazione del patrimonio culturale. E’ stata inaugurata la scuola italiana di Algeri (non è mai troppo tardi per promuovere la lingua italiana, vettore profondo ma purtroppo trascurato degli interessi italiani di lungo periodo). E’ stato inaugurato il “giardino Enrico Mattei” di Algeri in onore del fondatore dell’ENI, l’”amico della rivoluzione” algerina che sostenne l’indipendenza dalla Francia e probabilmente pagò con la vita la sua sfida alle Sette sorelle del petrolio.
Ma oltre l’agenda ufficiale, ci sono motivi di preoccupazione che rendono necessario un chiarimento delle relazioni con l’Algeria:
L’avvicinamento tra Algeria e Turchia. La preoccupazione maggiore dell’Italia nella regione mediterranea è l’espansionismo della Turchia, che vuole ricostituire un impero africano che partendo dalla Libia si estenda ad Est fino in Somalia e ad Ovest fino in Senegal. L’Algeria è un tassello fondamentale nella marcia dell’espansionismo turco. Il problema, per noi italiani, è che l’Algeria ha bisogno della Turchia per controbilanciare le iniziative diplomatiche del rivale marocchino. Il quale ha infatti operato un riavvicinamento con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, USA, Francia e Israele nella speranza che questi riconoscano la sua sovranità sul Sahara occidentale. L’Algeria sostiene da sempre l’autodeterminazione della popolazione sahrauita, considerata una nazione sorella nella lotta contro la colonizzazione. Anche per questo Algeri si è trovata costretta ad accettare forniture di armi da turchi e russi.
Le situazioni tunisina e libica. La Libia è spaccata in due: in Tripolitania c’è il Governo di Accordo Nazionale, guidato dall’imprenditore misuratino Dabaiba e riconosciuto dalla comunità internazionale ma di fatto controllato dalla Turchia con finanziamenti qatarini; in Cirenaica c’è il governo del generale Haftar, sostenuto da Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e, fino a poco tempo fa, dalla Francia. La scontro di potere a Tunisi replica quello che c’è in Libia. Fino allo scorso luglio il partito filo-turco Ennahda controllava il parlamento e il governo. Il colpo di Stato con il quale il presidente Saied ha esautorato il primo ministro e il parlamento è stato sostenuto da egiziani, sauditi, emiratini e francesi proprio per defenestrare il partito filo-turco. Ma anche se la posizione della Turchia in Tunisia si è indebolita, ciò non vuol dire che il Paese dei gelsomini sia stabile. Al contrario: con una disoccupazione giovanile sopra il 30%, una incessante emigrazione all’estero – anche in Italia – e una massiccia esportazione di jihadisti, il collasso della Tunisia non è uno scenario improbabile. Ciò potrebbe indurre Algeria e Turchia a intervenire, magari in accordo tra di loro, per evitare che il disordine tunisino travasi nei due Paesi limitrofi.
La delimitazione delle rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE). Ricordiamo che secondo il diritto internazionale la ZEE è la colonna d’acqua sopra la quale lo Stato costiero gode diritti esclusivi di sfruttamento. I quali riguardano la disciplina di settori come la pesca o l’installazione di impianti eolici off-shore. Essa si estende fino a 200 miglia nautiche dalla costa dello Stato rivierasco. La peculiarità delle ZEE dei Paesi mediterranei è che in molti casi le distanze tra le coste degli Stati frontisti non sono sufficientemente ampie da garantire a ciascuno di essi una ZEE di 200 miglia, per cui spesso le ZEE calcolate in tal modo si sovrapporrebbero. Questo è esattamente il caso delle ZEE di Italia e Algeria. La consuetudine che si è andata consolidando negli ultimi decenni è che gli Stati delimitino la propria ZEE in seguito ad accordi bilaterali con gli Stati frontisti oppure marchino unilateralmente i limiti della propria ZEE, salvo poi addivenire ad accordi (o disaccordi) con gli Stati frontisti.
L’Italia era l’unico Paese europeo, in compagnia di Albania e Montenegro, a non aver indicato la propria ZEE. Solo il 9 giugno scorso il Parlamento ha approvato la legge istitutiva della ZEE italiana. Il principio sostenuto per anni dai governi e dalla diplomazia italiana era che l’Italia promuove la libertà di sfruttamento delle risorse marine e quindi era contraria all’indicazione di una propria ZEE. Mentre noi ci facevamo ambasciatori del principio della cooperazione trasparente e multilaterale tra gli Stati, altri Paesi mediterranei perseguivano i propri interessi, anche ai nostri danni. La Repubblica Democratica Popolare di Algeria è tra questi. Nel 2018 essa ha fissato unilateralmente la propria ZEE fino alle acque prospicienti le coste di Cagliari e di Oristano, oltrepassando di parecchie miglia la linea di equidistanza tra la costa sarda e quella algerina. Perché tale invasione? Presumibilmente perché quella è una zona dove è in corso l’esplorazione di giacimenti di idrocarburi e vi sono depositi di noduli polimetallici. E’ curioso come la ZEE reclamata dagli algerini coincida con una proposta francese del 1974, che voleva porre proprio in questo tratto di mare il punto di confine tra le piattaforme continentali di Italia, Algeria, Spagna e Francia.
Il riarmo navale. La Repubblica algerina dispone di una flotta di sei sottomarini di fabbricazione russa equipaggiati con missili di gittata fino a 1500 km e di corvette di fabbricazione cinese con sistema radar di ultima generazione fornito dalla francese Thales. Le esercitazioni della marina algerina hanno messo in guardia le marine dei Paesi europei del Mediterraneo. In teoria, essa potrebbe essere il braccio armato a difesa della pretesa ZEE.
Non pensavamo di doverci difendere dalle minacce di un Paese tradizionalmente nostro amico come l’Algeria. Minacce che travalicano i temi ben conosciuti dei migranti, del terrorismo jihadista o della sicurezza energetica. Vogliamo sperare che questi temi così delicati siano stati affrontati dai nostri rappresentanti durante il fine-settimana algerino.
Gaetano Massara