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Il 10 marzo 2021 veniva istituita l’Autorità esecutiva libica di transizione guidata dalla diarchia Al Menfi-Dabaiba, e veniva deciso che l’Autorità trasferirà i propri poteri al governo che verrà eletto con le elezioni del 24 dicembre 2021.
La situazione sul terreno intanto si è cristallizzata, ponendo il confine tra la Libia turca e quella russa lungo la linea Sirte-Giufra- (dove si trova una base aerea russa) -Gat (alla frontiera con l’Algeria). I russi controllano tutta la Libia orientale, dove si trova il grosso delle riserve di idrocarburi, e gran parte del Fezzan, dove è il più grande giacimento libico nonché cerniera con Niger, Ciad e Sudan, da cui provengono le rotte dell’immigrazione.
Nel frattempo, visti gli sviluppi bellici, la Francia cambiava fronte: dopo aver sostenuto Haftar, specialmente allo scopo di scalzare l’Italia dalla sua posizione di partner privilegiato della Libia, si è unita al blocco dei Paesi occidentali e dell’ONU per facilitare l’avvio del processo di stabilizzazione. Si è andata così delineando la formazione di un trio Italia-Francia-Germania che si adopera per il mantenimento del cessate-il-fuoco, lo svolgimento di elezioni, il ritiro delle forze straniere e la gestione della crisi immigratoria – quest’ultimo punto particolarmente importante per l’Italia. Tali pilastri vengono ufficializzati dalla seconda conferenza di Berlino (giugno 2021).
Nelle settimane precedenti alla conferenza di Parigi sono venute a galla le rivalità interne alla Libia. L’Autorità esecutiva libica di transizione è spaccata tra il Consiglio presidenziale, responsabile delle relazioni esterne e che aveva sospeso la ministra degli esteri Najla Mangoush con l’accusa di aver scavalcato il Consiglio stesso, e il governo di unità nazionale, che ha reintegrato la ministra. Poi, il primo ministro Dabaiba stava considerando di candidarsi alle elezioni presidenziali, nonostante l’impegno preso con l’ONU a non partecipare alle prossime elezioni. Proprio a Parigi, forse su insistenza di Draghi, Dabaiba ha annunciato che non si candiderà. Inoltre, il presidente Menfi si era mostrato contrario allo svolgimento delle elezioni prima del ritiro delle truppe straniere. Ma anche la sua contrarietà sembrerebbe essere rientrata durante la conferenza. Ancora, la possibile candidatura a presidente di Haftar è sostenuta dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruch ma fortemente osteggiata dall’Alto Consiglio di Stato di Tripoli. Anche le possibili candidature del figlio del Rais, Seif el-Islam Gheddafi, e di un leader della branca locale dei Fratelli Musulmani, Khaled el-Mishri, sono potenzialmente detonatori di tensioni. La mancanza di una legge elettorale e la proposta avanzata da alcuni di tenere le elezioni legislative e presidenziali in due date diverse sono altri problemi che rischiano di ritardare il processo di stabilizzazione del Paese.
Con queste premesse si è svolta la conferenza di Parigi. Alla quale Draghi si è presentato con l’obiettivo di mettere in sicurezza le quattro priorità emerse da quando è iniziato il processo di pace.
Cosa è stato deciso
Le autorità libiche hanno confermato il loro impegno a rispettare il cessate-il-fuoco.
Le elezioni presidenziali e legislative saranno libere, regolari, inclusive e credibili, e si svolgeranno entrambe il 24 dicembre di quest’anno. I risultati delle due elezioni verranno annunciati simultaneamente. Le attuali autorità di transizione trasferiranno i poteri al nuovo esecutivo subito dopo l’annuncio dei risultati.
I partecipanti non riescono ad andare oltre il “sostenere il Piano d’azione per il ritiro dei mercenari, dei combattenti stranieri e delle forze straniere”. La Turchia contesta lo statuto delle forze straniere, in particolare facendo leva sull’accordo tra Ankara e il governo libico precedente all’invio delle truppe turche.
Viene attivato l’accordo tra Libia, Sudan, Ciad e Niger per il controllo delle frontiere.
Si sollecita la Libia al rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto umanitario nella gestione dei rifugiati, e si fa affidamento sulla missione UNMSIL delle Nazioni Unite per la fornitura degli aiuti umanitari.
I rischi per l’Italia
Il comunicato finale della conferenza rientra nella categoria delle esortazioni più che delle decisioni cogenti. Le premesse per una prossima stabilizzazione, riunificazione e dipartita delle truppe straniere dal Paese non sono buone.
Il ritiro dei soldati stranieri avrebbe dovuto completarsi entro il 21 gennaio scorso. Ma come riconosciuto dalla stessa cancelliera Merkel, «c’è ancora molto da fare per il ritiro dei mercenari». La Libia è un avamposto strategico per la Turchia. Controllando la Libia, Ankara può controllare il rispetto da parte di Tripoli dell’accordo turco-libico del 2019 sulla delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive (ZEE). In base a quell’accordo, le ZEE dei due Stati divengono confinanti. Ciò consente alla Turchia di rompere l’accerchiamento della Grecia e della Repubblica di Cipro, di guadagnare una contiguità con la costa africana e, in prospettiva, di isolare l’isola cipriota e preparare l’occupazione della parte greca. Inoltre, dalla Libia si dipartono le due direttrici dell’espansionismo turco in Africa, quella verso la Somalia e quella verso il Golfo di Guinea.
Discorso analogo può essere fatto per la Russia. Già all’indomani della sconfitta italiana nella Seconda guerra mondiale, l’URSS voleva mettere piede in Cirenaica. Fu questa prospettiva a persuadere gli alleati occidentali dall’idea della spartizione della Libia e che sarebbe stato meglio mantenerne l’integrità territoriale. Dalla Cirenaica, infatti, la Russia sta avanzando in Sudan, Ciad e Repubblica centroafricana.
E’ inoltre necessario che la legge elettorale libica venga approvata «non nei prossimi mesi ma nelle prossime settimane» come ha detto Draghi.
Per quanto riguarda il nostro Paese, la mancanza di una strategia chiara ci sta portando a perdere il controllo dei due stretti dello Stivale (oltre allo Stretto di Sicilia, il Canale di Otranto). Come detto da un diplomatico italiano, «l’Italia è la nazione europea che conosce meglio la situazione sul terreno e ha canali aperti con tutte le tribù. Abbiamo un vantaggio che però viene spesso vanificato dalla mancanza di strategia politica: sapere con chi parlare non si traduce necessariamente in influenza».
Dirigenti politici e opinione pubblica italiana non si sono ancora accorti dei rischi insiti nell’avere due potenze ostili – Turchia e Russia – sulla sponda Sud del canale di Sicilia. Non è solo un problema di controllo dei flussi migratori, di terrorismo o della messa in sicurezza delle fonti di energia. Si tratta del rischio di rimanere strozzati nelle acque di casa. L’ironia della sorte vuole che militari turchi addestrino la guardia costiera libica con unità donate dall’Italia.
La (giusta) azione italiana per una piena ownership locale dovrebbe conciliarsi con la salvaguardia del legittimo interesse alla nostra sicurezza. L’obiettivo finale deve essere quello di sterilizzare gli accordi turco-libici di delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive e di cooperazione militare e di riattivare l’accordo italo-libico di amicizia del 2008, in originale o sotto altra forma.
Possibili punti di partenza sono il rafforzamento dei presidi della nostra Marina militare nel Mediterraneo centrale, iniziando con l’ampliamento del mandato della missione navale dell’UE, Irini. Essa è incaricata di attuare l’embargo sulle armi ed è sotto guida italiana. Il suo mandato potrebbe essere ampliato a ricomprendere anche il controllo del cessate-il-fuoco in Libia.
Un’altra azione dovrebbe essere quella di rafforzare i presidi sulla frontiera Sud della Libia, in Niger ed in Ciad. Magari spostando i nostri 250 soldati dal Mali, dove siamo andati in soccorso della Francia. Qui un accordo con Parigi è necessario. Speriamo che il trattato del Quirinale, che sarà portato alla firma la settimana prossima, provveda.
Gaetano Massara