La Gioconda (Mona Lisa come preferiscono chiamarla i cugini transalpini) di Leonardo Da Vinci è probabilmente il più efficace esempio delle incomprensioni tra italiani e francesi. Scippata dai nostri cugini, secondo la vulgata di noi italiani; mero effetto dell’incapacità dell’Italia di trattenere a casa le proprie eccellenze secondo i francesi – il maestro nel 1516 portò la tela con sé in Francia e dopo la sua morte il re Francesco I la acquistò dall’allievo di Leonardo, Salai.
Venerdì Macron e Draghi firmeranno il Trattato del Quirinale, il primo trattato bilaterale dell’Italia dai tempi della Seconda guerra mondiale. Esso è il risultato delle trattative diplomatiche avviate in seguito alla proposta di un trattato bilaterale tra Roma e Parigi lanciata dal Presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni e da Macron stesso in occasione del vertice franco-italiano di Lione del settembre 2017.
Nell’impossibilità di esprimere giudizi definitivi su un documento finora segreto, proviamo ad analizzare le informazioni trapelate e immaginare come dovrebbe essere un trattato italo-francese che promuova l’interesse nazionale italiano. Non prima di aver fatto alcune premesse:
- La Francia è un nostro concorrente su molte questioni. Con i rivali può essere utile parlare, esponendo preventivamente e in maniera trasparente gli obiettivi reciproci. Ma in modo freddo e pragmatico, senza farsi illusioni sulla possibilità di addivenire ad un accordo. La creazione di tavoli di consultazione permanente permetterebbe di avere delle stanze di compensazione che potrebbero attutire, o addirittura evitare, le crisi prima che queste insorgano e avviare la cooperazione nelle questioni di interesse comune.
- Il metodo è importante quanto il merito. Meglio nessun trattato che un trattato mal concepito che ci penalizzi. Meglio continuare a utilizzare i consueti vertici bilaterali che cristallizzare posizioni squilibrate in trattati difficili da modificare.
- La Storia non è finita né è stata sostituita dal mercatismo. Gli Stati nazionali continueranno ad essere gli attori primari nelle relazioni internazionali, almeno per il futuro immaginabile. E l’interesse nazionale continuerà ad essere la bussola che guiderà l’azione degli Stati, anche in Europa. In questo senso, come tutti i contratti, un trattato bilaterale ha senso solo se migliora la posizione dei contraenti. Quindi occorre domandarsi: con il trattato del Quirinale, l’Italia otterrà dei benefici netti in termini di maggiore peso politico, economico o culturale?
- La politica estera della Repubblica italiana è tradizionalmente multilateralista, e come tale contraria per principio ad accordi bilaterali. Ciò è frutto della sindrome da sconfitta che ci portiamo dietro dal 1945, del timore di essere oggetto di manovre oscure ai nostri danni da parte del concerto delle potenze ma soprattutto della percezione di noi stessi come della “più grande delle piccole potenze” piuttosto che della “più piccola delle grandi potenze”. Obbligandoci a formulare ed esplicitare la nostra agenda specifica nelle relazioni italo-francesi, il trattato del Quirinale potrebbe avere il beneficio di farci cambiare prospettiva e, nel medio/lungo-termine, proiettarci nuovamente nel concerto delle potenze.
- La Francia è una potenza di rango superiore rispetto all’Italia. Sebbene di dimensioni demografiche ed economiche analoghe a quelle italiane, il suo status di vincitore formale della Seconda guerra mondiale le consente di sedere nel ristrettissimo club dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di essere una potenza nucleare. Esercitando la sovranità su territori dislocati nei cinque continenti, può giustificare la sua partecipazione a tutti i tavoli che contano, mondiali come regionali. Attraverso la promozione della francofonia, mira esplicitamente a porre la lingua francese davanti a quelle inglese e cinese come idioma con più parlanti al mondo nell’arco di pochi decenni. Ha una elevata percezione di sé ed una ambiziosa agenda sul ruolo di leadership globale, che vuole assumere in pacifica competizione con gli Stati Uniti. Ambizioni di leadership che sono patrimonio comune della destra come del centro e della gauche. Elevata percezione di sé che si traduce spesso in complesso di superiorità nei confronti dell’Italia, vista come primus vasallus latino dello spazio di influenza francese. In una parola, il rapporto tra Francia e Italia è un rapporto asimmetrico. Il che ci impone un plus di prudenza nel negoziare accordi con un soggetto più forte.
- Per la Francia, l’Unione europea è, ed è sempre stata, il moltiplicatore della potenza francese, la versione post-moderna dell’impero carolingio e della grandeur napoleonica, il mezzo attraverso il quale realizzare il disegno di un’Europa a guida francese. In questo senso, l’europeismo dei francesi (come dei tedeschi, seppur con altri mezzi) è puramente strumentale al perseguimento dell’interesse nazionale. A differenza degli italiani i quali sono, ingenuamente, tra i popoli più sinceramente europeisti d’Europa. Con la conseguenza di essere svantaggiati da un bias filo-europeo che potrebbe danneggiarci.
- La Francia ha già in essere un legame bilaterale rafforzato con la Repubblica federale tedesca, ufficialmente sancito dai trattati dell’Eliseo del 1963 e di Aquisgrana del 2019. L’asse franco-tedesco è il motore dell’Europa, quello che ha fissato i parametri di Maastricht secondo il criterio della tendenzialità (su insistenza italiana), salvo poi derogarlo a nostro svantaggio attraverso norme di rango inferiore a quelle del Trattato UE quali sono il Patto di Stabilità ed il Fiscal Compact. Abbiamo bisogno di controbilanciare l’asse franco-tedesco. Il come è un’altra questione. Se non lo facciamo rischiamo di rimanere emarginati, non solo in Europa.
Il Trattato
Alla luce di queste premesse, analizziamo le poche informazioni disponibili.
Innanzi tutto, il titolo di “Trattato fra la Repubblica francese e la Repubblica italiana per una cooperazione bilaterale rafforzata” farebbe pensare al modello di cooperazione bilaterale rafforzata in essere tra Parigi e Berlino, con commissioni bilaterali tra i ministeri responsabili di materie specifiche che consentirebbero di prevenire i disaccordi tra le parti e garantire la tutela dei rispettivi interessi.
Il documento è composto da una premessa su valori e obiettivi comuni. Il cuore del trattato è costituito da undici capitoli tematici, dedicato ciascuno alle aree in cui realizzare la cooperazione rafforzata: esteri, difesa, Europa, migrazioni, giustizia, sviluppo economico, sostenibilità e transizione ecologica, spazio, istruzione, formazione e cultura, gioventù, cooperazione transfrontaliera e pubblica amministrazione. Vi è poi un’appendice contenente un programma operativo su come attuare la cooperazione nelle undici aree.
In base a tale programma, la collaborazione parlamentare partirà già il 29 novembre con la firma tra il presidente della Camera, Roberto Fico, e il presidente dell’Assemblée nationale, Richard Ferrand, di un accordo di cooperazione tra i due Parlamenti. La cui prima tappa sarà l’incontro a Parigi tra le due commissioni Esteri, l’8 e il 9 dicembre. Inoltre si prevedono riunioni congiunte dei Consigli dei ministri, un vertice bilaterale annuale e la ricerca costante di una posizione comune in ambito UE e nelle istituzioni internazionali, compresa l’ONU.
Tuttavia, il trattato non sembra prevedere un livello di cooperazione rafforzata tra Roma e Parigi profondo come quello tra Berlino e Parigi. Più precisamente non sembrerebbero essere previste, almeno per il momento, riunioni istituzionalizzate tra componenti dei vari ministeri interessati dalla cooperazione rafforzata né scambi di funzionari come già avviene tra delegazioni ministeriali di Francia e Germania. Si può ipotizzare che tale prudenza sia dettata dalla necessità di raccogliere un consenso più ampio alla ratifica del trattato tra le forze parlamentari, specialmente quelle italiane, i cui equilibri potrebbero mutare dopo le prossime elezioni politiche.
Continua
Gaetano Massara