AGI – A Bruxelles è il giorno dell’Ucraina. Ma non è di certo il giorno dei Balcani occidentali. I capi di Stato e di Governo dei Ventisette hanno dato il via libera alla concessione dello status di Paese candidato a Ucraina e Moldavia e a concedere la prospettiva europea alla Georgia.
Un “bel giorno, un momento storico”, per usare le parole del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Un passo, che arriva nel sesto anniversario della Brexit, importante piu’ nella forma e nella speranza che nella sostanza perche’ l’adesione vera e propria richiederà anni.
“È una delle decisioni più importanti per l’Ucraina in tutti i trent’anni di indipendenza del nostro Stato. Tuttavia, questa decisione non riguarda solo l’Ucraina”, ha celebrato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che si è collegato con i leader Ue subito dopo la decisione.
“Questo è il più grande passo verso il rafforzamento dell’Europa che si potrebbe compiere in questo momento, nel nostro tempo, e proprio nel contesto della guerra voluta dalla Russia, che sta mettendo alla prova la nostra capacità di preservare la libertà e l’unità”, ha aggiunto.
“Ora però questi Stati devono fare i compiti per fare progressi e raggiungere le prossime fasi”, ha sottolineato von der Leyen
Ma se per Kiev è stato un giorno storico, per i Balcani occidentali – parafrasando le parole dell’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell – non è stata una bella giornata perché, colpa dell’unanimità, il processo di allargamento “non è dove dovrebbe essere”.
Il vertice con i leader dei Balcani è stato un fallimento. È durato quattro ore ma si è chiuso con un nulla di fatto. Persino la conferenza stampa, che doveva essere tenuta dai tre presidenti, Michel, von der Leyen e Macron, è stata annullata. Rifatta poi nella notte dopo l’ok alla candidatura di Kiev e Chisinau. Non c’era molto da dire. Se non la frustrazione di avere le mani legate dal veto della Bulgaria.
Con un premier uscente, Kiril Petkov, sfiduciato poche ore prima, che non poteva fare altro che confermare che solo il Parlamento aveva il potere di decidere e sbloccare l’impasse con la Macedonia del Nord. Tutti quindi in attesa che si riunisca (domani) la commissione Esteri e la plenaria per dire la propria. I diplomatici sono fiduciosi: “È questione di ore”. Ma nulla può essere dato per scontato.
Alla frustrazione degli europei si somma la delusione, sempre più profonda, dei leader dei Balcani occidentali. A guidarli, ancora una volta, il premier albanese, Edi Rama, affiancato dal collega macedone, Dimitar Kovacevski e il presidente serbo, Aleksandar Vucic.
“Quello che sta accadendo ora è un problema serio e un duro colpo per la credibilità dell’Ue. Stiamo perdendo tempo prezioso che non abbiamo”, ha detto Kovacevski nella conferenza stampa a fine vertice che ha espresso “il malcontento del governo e del popolo macedoni”.
Kovacevski ha quindi espresso il “malcontento” del popolo della Macedonia del Nord, affermando che la Bulgaria “ha deciso di tornare al passato e imporre un blocco che non giova a nessuno tranne che a terzi che colmeranno il vuoto”.
Ancora più tagliente Rama: “Oggi sono in lutto per l’Unione europea, mi dispiace molto per loro. Abbiamo offerto l’aiuto di cui potrebbero aver bisogno”, ha spiegato.
“È bello essere qui, ma siamo sempre ospiti. Siamo una famiglia, nella stessa casa ma in piani diversi”, ha aggiunto rinnovando tuttavia la sua piena intenzione di continuare su questa strada per entrare nell’Ue “magari il prossimo secolo”.
E il messaggio agli ucraini è chiaro: “Congratulazioni, ma non illudetevi. La Macedonia del Nord e’ candidata da diciotto anni, noi da otto”.
A rispondere alle accuse ci ha pensato il presidente francese. “Non possiamo fare finta che non esista la questione Bulgaria, seppur tardiva. Ma in questo ultimo mese abbiamo fatto tante pressioni e abbiamo presentato una proposta che accontenta entrambi. Aspettiamo che il Parlamento bulgaro voti, siamo molto vicini all’accordo. È questione di ore”.
Oltre al veto bulgaro c’è anche la questione Bosnia-Erzegovina che ha allungato anche il dibattito sulla concessione dello status di candidato all’Ucraina.
Diversi Stati, tra cui Austria, Croazia e Slovenia, hanno sottolineato la necessità di portare fuori la Bosnia dal limbo e concederle lo status di candidato. Per farlo però, e questo è il compromesso raggiunto, dovrà attuare con urgenza la riforma della Costituzione e la riforma elettorale.
I ventisette si sono detti pronti a concedere lo status di candidato. Ma, è bene ricordare, che nel marzo 2020 avevano sottoscritto di aprire senza ulteriore indugio i negoziati con Macedonia del Nord e Albania.