La terza sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sentenza del 9 giugno 2022, ha condannato la Russia per violazione del diritto al rispetto della vita privata, tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Nel caso di specie, il ricorrente ha affermato che la sorveglianza segreta a cui è stato sottoposto nell’ambito di un procedimento penale ha violato il suo diritto al rispetto della vita privata. L’uomo ha espressamente invocato l’art. 8 della Convenzione, nella misura in cui che stabilisce: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata […]”. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
La Corte Europea ha ribadito che le misure volte all’intercettazione di comunicazioni telefoniche costituiscono un’ingerenza nell’esercizio dei diritti enunciati nell’art. 8 della Convenzione. Tale ingerenza dà luogo ad una violazione della Convenzione, a meno che non si dimostri che essa sia “conforme alla legge”, persegua uno o più scopi legittimi definiti nel secondo comma della disposizione, ovvero sia “necessaria in una società democratica”.
I giudici di Strasburgo chiamati a pronunciarsi in casi simili, avevano già riscontrato delle violazioni rispetto a questioni analoghe da parte della Russia.
In particolare, nella sentenza relativa al caso Dudchenko c. Russia, la mancata verifica da parte dei tribunali interni, al momento di autorizzare la sorveglianza segreta nei confronti del ricorrente, relativa alla sussistenza di un “ragionevole sospetto” nei suoi confronti, nonché la mancata applicazione dei test di “necessità in una società democratica” e “proporzionalità“, ha portato la Corte a concludere per una violazione del diritto al rispetto della vita privata del ricorrente.
Anche nel caso di specie, dopo aver esaminato tutto il materiale ad essa sottoposto, la Corte Europea non ha riscontrato alcun fatto o argomento idoneo a indurla a pervenire a una diversa conclusione sulla ricevibilità e sulla fondatezza delle censure sollevate dal ricorrente. Non sono state presentate prove, informazioni o documenti che confermassero i sospetti nei confronti del ricorrente. Tuttavia, i tribunali russi hanno comunque autorizzato l’intercettazione delle sue conversazioni telefoniche. Né vi è alcuna indicazione che tali giudici abbiano applicato il criterio della “necessità in una società democratica” e, in particolare, abbiano valutato se le misure di sorveglianza attuate nei confronti del ricorrente fossero proporzionate a qualsiasi scopo legittimo eventualmente perseguito.
Ne consegue che le doglianze presentate dal ricorrente sono state ritenute ammissibili e hanno rivelato una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata, tutelato dall’art. 8 della Convenzione.