Dopo il fallimentare esito registrato dal PSOE alle ultime elezioni amministrative, il premier Pedro Sanchez ha annunciato le dimissioni e le elezioni anticipate al 23 luglio. Negli ultimi quattro anni il partito ha perso ben 400mila voti, perdendo nelle ultime elezioni anche le città di Valencia e Siviglia, guidate da giunte progressiste. Il PP ha infatti guadagnato ben quattro comunità autonome, recuperando così l’esito disastroso delle elezioni 2019. L’era Sanchez potrebbe quindi concludersi dopo quattro anni di stabilità politica, arrivati in seguito al periodo altalenante tra il 2015 e il 2019 durante il quale i cittadini spagnoli sono stati chiamati alle urne per quattro volte. Nonostante La coalizione PSOE-Podemos abbia infatti registrato una crescita del pil spagnolo pari al 2,9%, decisamente superiore alla media europea, e una diminuzione del tasso d’inflazione e della disoccupazione, il PP si posizione attualmente come il primo partito di Spagna con il 30%, contro il 28% del PSOE; ma per vincere ha bisogno dell’appoggio del partito di estrema destra Vox, come avvenuto nelle regioni di Castiglia e Leon. In Europa sembra ripetersi ovunque la stessa formula: un partito di estrema destra che avanza, in questo caso Vox, contro una sinistra sempre più divisa, come confermato anche dalla scelta dell’attuale ministro del lavoro Yolanda Diaz di concorrere alla carica di premier come leader del movimento di recente formazione Sumar. Il grande rivale di Sanchez resta comunque il leader del PP Núñez Feijóo.
L’era dei populismi è per tanto tutt’altro che finita e il progresso socio-economico spagnolo rischia quindi di registrare una brusca interruzione. Le elezioni spagnole potrebbero sancire definitivamente lo spostamento a destra dell’asse politico europeo, in quanto si svolgeranno a soli sei mesi di distanza dall’inizio del semestre di presidenza spagnola del Consiglio dell’Unione Europea e dalle elezioni parlamentare europee del 2024.