AGI – “Sono 30 giorni, un mese, che i miei genitori sono stati portati via. Siamo stati lasciati orribilmente senza aiuto e in una profonda incertezza. Non ho alcuna informazione su di loro e questo rende le mie attività quotidiane molto complicate”. Ella Ben Ami, i cui genitori Raz e Ohad Ben Ami sono stati rapiti durante l’attacco del 7 ottobre al kibbutz di Bèeri, è tra coloro che si sono uniti alle recenti proteste in Israele per chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas.
“Stiamo protestando – afferma Ella – per aumentare la sensibilizzazione sulla situazione degli ostaggi e per chiedere che si abbia cura di loro, nonchè per esercitare pressione affinchè vengano liberati. Chiedo al mio governo e a tutti i leader del mondo di aiutarci, Vogliamo vedere di nuovo i nostri genitori, vivi. Se mia madre non prende le medicine di cui ha bisogno, temo che non potrà sopravvivere, non abbiamo tempo”:
È Amnesty International a raccogliere il suo appello e a rilanciarlo, insieme a quello di Yonatan Zeigen, figlio di Vivia Silver, 74 anni, attivista per la pace ed ex componente della direzione dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, a sua volta rapita dallo stesso kibbutz: “Provo dolore e tristezza per mia madre – ha detto Yonatan – per tutti gli ostaggi, per la nostra comunità e per la popolazione palestinese. Quello che sta accadendo è la prova del fallimento di ambo le parti nel raggiungere una pace duratura. Chiedo un cessate il fuoco e la liberazione di tutti gli ostaggi, come primo passo verso una soluzione olistica per la regione, con un lungo coinvolgimento internazionale. La sicurezza può essere ottenuta solo con la pace”.
Moshi Lotem, invece, rivuole la figlia Hagar e i tre nipoti, dei quali il più piccolo ha appena quattro anni. “Quello che Hamas e gli altri gruppi armati hanno fatto – spiega – ha danneggiato non solo i loro vicini che hanno a cuore la popolazione palestinese e i suoi diritti, ma anche gli stessi palestinesi. Come padre e nonno, è difficile per me sopportare che abbiano preso la mia famiglia in questo modo e che io non abbia alcuna informazione. Mi mancano tanto. Ogni giorno che passa diventa sempre più difficile. Loro sono in una situazione molto vulnerabile e gli attacchi (contro Gaza) mi spaventano molto. Chiedo alle organizzazioni internazionali, che siano le Nazioni Unite o la Croce rossa, di riportare gli ostaggi a casa”.
Le Convenzioni di Ginevra, i loro protocolli addizionali e il diritto internazionale umanitario consuetudinario vietano la presa di ostaggi, considerata un crimine di guerra. Lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale definisce questo crimine, come la cattura o la detenzione di una persona, combinata con la minaccia di ucciderla, di ferirla o di continuare a trattenerla in ostaggio per costringere, ponendo come condizione esplicita o implicita l’incolumità o la liberazione dell’ostaggio, una terza parte a fare o non fare qualcosa.
“Hamas e gli altri gruppi armati – sottolinea Amnesty – devono anche assicurare che gli ostaggi e le altre persone fatte prigioniere siano tenute a distanza da obiettivi militari e dunque sia minimizzato il rischio che possano essere colpite dagli attacchi israeliani. In alcuna circostanza dovranno essere usati come scudi per proteggere obiettivi militari dagli attacchi”.
Francesca Ruggiero