(AGI) – New York, 13 nov. – Quando il senatore Tim Scott ha annunciato il ritiro dalla corsa presidenziale, molti tra i suoi alleati e consiglieri hanno definito “saggia” la decisione, ma con una punta di veleno. Secondo alcuni membri del suo staff, citati dai media americani, “si sono viste campagne migliori a livello locale” rispetto a quella portata avanti da colui che era considerato l’astro nascente del Partito repubblicano: Scott, 58 anni, primo senatore nero eletto da uno Stato del sud, era l’afroamericano che aveva realizzato l’“American Dream” crescendo in una famiglia povera, con l’aiuto della sola madre, e con un passato da campione di raccolte fondi.
Invece la campagna di Scott non è mai decollata, l’indice di gradimento è sempre stato tra i più bassi, senza mai arrivare alla doppia cifra, fermandosi intorno al due per cento. La prova all’ultimo dibattito tv è stata la pietra tombale alle sue ambizioni presidenziali, insieme al crollo nella raccolta fondi che aveva portato ad alcuni tagli alla campagna. Anche l’annuncio, fatto a Fox News direttamente dal suo studio ha lasciato perplessi. “Io – ha spiegato – tornero’ a parlare in Iowa (dove tra due mesi ci saranno le primarie repubblicane, ndr) ma non più come candidato presidenziale. Io sospendo la mia campagna”.
“Penso – ha aggiunto – che gli elettori siano stati chiari e mi hanno detto ‘Tim, ora no'”. Poche ore prima dell’annuncio la sua campagna aveva chiesto fondi agli iscritti alla mailing list. In serata Scott ha parlato al telefono con Donald Trump. “Il suo staff – ha commentato a Politico un affiliato alla campagna del senatore – non era a conoscenza della decisione”.
In realtà sembra che Scott avesse anticipato la sua decisione alla responsabile della campagna, Jennifer DeCasper, al direttore della comunicazione Nathan Brand. Gli altri lo hanno saputo guardando la televisione o il cellulare inondato di messaggi. Al senatore i suoi alleati hanno imputato la debolezza del suo messaggio, l’assenza di una direzione.
“Io penso – ha aggiunto un altro, che ha preferito restare anonimo – che lui abbia gestito davvero male questa sfida”. A un pranzo di lavoro avvenuto la settimana scorsa in South Carolina, lo Stato del senatore, qualcuno dello staff aveva previsto che la campagna non sarebbe durata più di altri dodici giorni. Alla fine era stata persino una previsione ottimistica, perchè è finita molto prima. Il campo degli avversari di Donald Trump alla nomination presidenziale per la corsa alla Casa Bianca nel 2024 si riduce ancora: in corsa, tra quelli che hanno partecipato all’ultimo duello tv, restano l’ex ambasciatrice Onu Nikki Haley, il governatore della Florida Ron DeSantis, il giovane finanziere di origine indiana Vivek Ramaswamy e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, un altro di cui si attende l’annuncio nel ritiro nelle prossime settimane. Sarebbe il terzo di un big, dopo Scott e l’ex vicepresidente Mike Pence. Haley e DeSantis sembrano i veri duellanti finali, con l’ex ambasciatrice in ascesa per la sua linea decisa e moderata, in contrasto con quella di DeSantis, che dopo essersi proposto come la “copia giovane” di Trump, senza riuscire a conquistare la base trumpiana, adesso è passato a toni estremisti, condensati nell’invito a sparare al confine con il Messico ai trafficanti di oppioidi che importano gli psicofarmaci negli Stati Uniti, considerati ogni anno tra le cause principali di morte per centinaia di migliaia di americani.