AGI – Il difficile Consiglio Ue sull’adesione dell’Ucraina e la revisione dei conti (il bilancio pluriennale 2021-2017) con lo stanziamento di nuovi fondi per Kiev si chiude con “un risultato che si presta a due letture: una senza dubbio positiva, e l’altra di segno evidentemente contrario”. A interpretare i segnali contrastanti che arrivano dalla due giorni di Bruxelles dei leader europei è l‘ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali, già commissario Ue nel 2014.
Via libera al processo d’allargamento
Da una parte, spiega, “si è deciso di dare il via ai negoziati di adesione per Ucraina e Moldova e quindi di rilanciare sostanzialmente il processo di allargamento. Sarà un processo molto lungo, pieno d’incognite e di difficoltà, ma l’apertura di ieri alla futura adesione di Kiev rappresenta un segnale politicamente forte”. “In un momento in cui, apparentemente, in tutta Europa si avverte un certo indebolimento dell’appoggio a Zelensky e all’Ucraina, il via libera all’adesione rappresenta politicamente un sostegno molto importante”, ha aggiunto.
Stop ai fondi per l’Ucraina
D’altro canto, il mancato accordo sul “difficile negoziato” di revisione del quadro finanziario pluriennale (in particolare, di alcuni suoi capitoli di spesa) è, secondo l’ambasciatore, un segnale preoccupante che “bilancia in senso negativo l’apertura positiva all’Ucraina sul fronte dell’adesione“. L’accordo, insomma, è venuto meno proprio sui famosi 50 miliardi di aiuti (per lo più alla ricostruzione) da destinare all’Ucraina, tuttavia Nelli Feroce è pronto a dirsi “abbastanza fiducioso” anche su questo fronte. Stando alle dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, tante altre questioni su cui i Paesi membri avevano posto veti incrociati sono state risolte e, quindi, “ci sono buone possibilità che Bruxelles trovi una soluzione a inizio 2024”, soprattutto se l’Ue accetterà la contropartita richiesta da Orban.
Orban, il ‘mercante’ pragmatico
Dopo essere riuscito a sbloccare l’erogazione di 10 miliardi di euro di fondi all’Ungheria – fondi che erano stati sospesi per via dei diversi contenziosi aperti con l’Ue sul fronte del rispetto dello stato di diritto – Orban sta tirando la corda con Bruxelles per ottenere qualcosa altro, probabilmente più i 20 miliardi di euro. “Credo che, da buon mercante, all’insegna della tutela dell’interesse nazionale – afferma Nelli Feroci – Orban si sia tenuto questa carta per arrivare nelle prossime settimane a sbloccare altri finanziamenti”. Ma questo stop europeo ai fondi, sottolinea, “bilancia in senso negativo il segnale positivo di apertura all’Ucraina sul fronte dell’adesione”.
Senza aiuti europei rischi per la capacità di resistere a Mosca?
“Gran parte dell’assitenza immediata all’Ucraina (soprattutto in termini di invio di armi e munizioni) è sulle spalle dei singoli Paesi membri”, spiega ancora l’ambasciatore. “L’Ue, ha fatto la sua parte con i fondi messi a disposizione dall’European Peace Facility” (n.d.r. uno strumento fuori bilancio per consolidare le azioni Ue finalizzate alla prevenzione dei conflitti e alla costruzione della pace) che, in teoria, doveva essere rifinanziato.
Ue e Stati Uniti ‘affaticati’
Ma il problema comunque, a suo avviso, si pone “perché vediamo in molti Paesi europei quella fatica, provocata anche dall’allentamento della pressione politica sul fronte Est per via del conflitto in Medio Oriente, che stiamo vedendo anche negli Stati Uniti“. “Sono i singoli paesi membri, oggi, che devono riuscire a far riemergere la disponibilità politica e i mezzi per dare aiuto concreto all’Ucraina. Uno sforzo che – lascia intendere Nelli Feroci – diventa sempre più impegnativo” mentre le campagne elettorali entrano nel vivo: tanto in Europa (per il rinnovo dell’Europarlamento a giugno 2024) quanto negli Stati Uniti (per la Casa Bianca, a novembre del prossimo anno).
“Il blocco europeo dei fondi all’Ucraina non è comunque, taglia corto Nelli Feroci, altrettanto clamoroso come quello del Congresso americano dove stiamo assistendo a un braccio di ferro tra il partito repubblicano e Biden che è assolutamente legato alla dialettica elettorale interna”. Per Kiev, insomma, il bicchiere resta mezzo pieno: “Sul fronte dell’Ucraina, insiste l’ambasciatore, da Bruxelles arriva un risultato in chiaroscuro e per certi versi contraddittorio“. All’orizzonte resta l’incognita Orban, le cui mosse spregiudicate piacciono sicuramente più a Mosca che a Bruxelles. E una partita (sull’Ucraina) ancora tutta da giocare, sulle due sponde dell’Atlantico.