L’Iran ha cercato invano di evitare una risoluzione di censura nei suoi confronti durante la riunione del consiglio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, (AIEA), offrendo di limitare le scorte di uranio arricchito a un livello appena sotto quello per uso militare. Tuttavia, l’iniziativa non ha fermato il pressing occidentale, secondo quanto riferito da fonti diplomatiche e dallo stesso organismo internazionale.
In uno dei due rapporti riservati dell’AIEA indirizzati agli stati membri, si legge che Teheran ha proposto di non espandere ulteriormente le sue riserve di uranio arricchito al 60%, una soglia vicina al 90% richiesto per costruire armi nucleari, e ha avviato le misure preparatorie per fermare tale attività. L’offerta, però è vincolata alla condizione che le potenze occidentali abbandonino il piano per una risoluzione di censura nei confronti dell’Iran durante l’attuale riunione del Consiglio dei Governatori dell’AIEA, composto da trentacinque paesi. Fonti diplomatiche confermano che la risoluzione verrà comunque portata avanti, nonostante le pressioni iraniane. Il ministro degli Esteri iraniano, abbas Araghchi ha avvertito il suo omologo francesce Jean-Noel Barrot, che l’iniziativa di Francia, Germania e Regno Unito di sostenere una risoluzione contro Teheran rischia di complicare ulteriormente la situazione e contraddirebbe il clima positivo instaurato tra Iran e AIEA, come dichiarato la scorsa settimana dal ministro degli Esteri iraniano.
Secondo il rapporto dell’AIEA, durante la visita del direttore Rafael Grossi in Iran nei giorni scorsi, è stata discussa la possibilità che Teheran non aumenti ulteriormente le sue scorte di uranio arricchito al 60%; l’agenzia ha verificato che l’Iran ha iniziato a attuare alcune misure preparatorie e che il ritmo dell’arricchimento si è rallentato, un passo necessario prima di arrestare completamente il processo.
Tuttavia, molti diplomatici occidentali hanno respinto l’offerta come un ennesimo tentativo dell’ultimo minuto per evitare una condanna. L’Iran avrebbe dal primo momento dovuto evitare di incrementare la soglia dell’uranio arricchito dal 60, al 90%, considerato che nessun utilizzo civile credibile contempla quei livelli di arricchimento.
Secondo le stime dell’AIEA, l’Iran possiede attualmente circa 182,3 kg di uranio arricchito al 60%, abbastanza – se ulteriormente arricchito – per produrre quattro testate nucleari. L’Iran ha sempre negato di voler costruire armi atomiche.
Il secondo rapporto riservato dell’AIEA ha rivelato che l’Iran avrebbe accettato di valutare la possibilità di autorizzare quattro ispettori esperti in arricchimento nucleare a operare nel paese. Questo dopo che, lo scorso anno la repubblica Islamica aveva revocato l’accesso alla maggior parte degli esperti dell’agenzia: un atto definito dall’agenzia stessa “un grave ostacolo” al suo lavoro di monitoraggio. Tuttavia, Teheran ha escluso la possibilità di fare rientrare gli stessi ispettori precedentemente espulsi.
La visita di Grossi puntava a risolvere controversie di lunga data, tra cui la presenza di tracce di uranio in siti non dichiarati e l’estensione della supervisione dell’AIEA su nuove aree sensibili.
Il progetto di risoluzione sostenuto da Regno Unito, Germania, Francia e Stati Uniti condanna l’Iran per la scarsa collaborazione con l’AIEA e prevede che l’agenzia presenti un rapporto dettagliato sulle attività nucleari di Teheran. Il voto dovrebbe tenersi entro la fine della settimana, e ci si aspetta che la risoluzione venga approvata, nonostante l’opposizione di Russia e Cina.
L’obiettivo della pressione diplomatica è spingere Teheran a tornare al tavolo delle trattative per definire nuove restrizioni sul suo programma nucleare, dopo che l’accordo del 2015 è stato progressivamente svuotato di contenuti; anche se molti dei suoi vincoli sono stati violati, la data ultima formale dell’accordo – che ne abolirà definitivamente i limiti – è fissata per ottobre 2025.
Le tensioni si collocano in un contesto geopolitico sempre più complesso, con gli Stati Uniti che nel 2018 si sono ritirati dall’accordo sotto l’amministrazione Trump, causando il deterioramento dell’intesa. Non è chiaro se l’amministrazione entrante sosterrà nuovi negoziati o adotterà un approccio più rigido, come promesso in passato.
F.B.