“Sulle cause e i motivi che portarono alla fine si sarebbero potuti scrivere interi capitoli nei libri di storia. Ma dopo la fine nessun libro venne scritto più”. Inizia così La terra dei figli, ultimo lavoro di Gipi, nome d’arte di Gian Alfonso Pacinotti, già autore di Unastoria e S., solo per citarne due. Un messaggio laconico che ci proietta subito all’interno dell’opera, sui suoi personaggi e nei suoi paesaggi. Cosa sia successo non si sa, non si sa il quando. Ciò che sappiamo è che l’umanità è stata spazzata via, e insieme ad essa la civiltà. I pochi superstiti sono regrediti all’età della pietra, vittime dei loro bisogni primordiali. Cacciare, mangiare, sopravvivere. Sta tutto qui. “Dopo la fine nessun libro venne scritto più”. Eppure la storia narrata dallo scrittore toscano gira intorno a due, se non tre, libri. Il primo è il quaderno
su cui, ogni sera, il padre dei due giovani protagonisti verga le sue parole, i pensieri che è costretto a tenersi dentro perché la difficoltà della vita nel nuovo mondo non gli permette di aprirsi con i figli, che devono crescere forti e inarrestabili, diventare guerrieri e cacciatori. Non una carezza è concessa loro, non una parola dolce. La filosofia del genitore è quella del “bastone e carota”. Però senza la carota. Il secondo libro è la Bibbia di un gruppo di persone che meglio degli altri si è adattata al mondo in cui si sono trovati costretti a vivere, dove “adattarsi” qui assume una luce oscura ed inquietante. La setta in questione è guidata da colui che possiede il sacro libro, re e papa al tempo stesso, alla guida di questa umanità figlia dei giorni nostri, che ha scambiato la propria sopravvivenza con la distruzione di tutti coloro che non appartengono in senso stretto al suo nucleo. E’ una società post-apocalittica, ma sopratutto post-tecnologica, una società nella quale pur non essendovi più traccia di computer e tecnologie, è forte l’impronta che questi elementi hanno lasciato nella mente, nel modo di vivere e nel linguaggio dei sopravvissuti. I quali, come ogni “setta” del web
che si rispetti, si ergono ad unici detentori della verità e della giustizia, di un corretto modo di vivere. Proprio questo è uno dei tanti punti di forza dell’opera di Gipi, ovvero i molteplici piani di lettura riscontrabili in essa, una società futura che però è anche la nostra stessa società, quella degli anni 2000, con tutti i suoi difetti portati all’estremo. E proprio ad una diversa prospettiva di lettura appartiene il terzo libro protagonista delle vicende, che altro non è che quello tenuto in mano dal lettore nel momento stesso in cui la storia gli viene raccontata. Un libro, La terra dei figli,
che all’occorrenza si trasforma, muta, fino a diventare il quaderno di cui abbiamo parlato prima, che possiamo tenere fra le nostre mani pur non potendolo leggere, così come non possono farlo i figli di colui che l’ha scritto. Non un libro qualsiasi questo, bensì il libro, il libro di Storia e della Storia. Perché i figli di cui parla il titolo, non sono solamente i protagonisti delle vicende che prendono vita fra le pagine di questa graphic novel, ma sono anche i nostri figli, della nostra società, di quello stesso mondo in cui viviamo e che stiamo contribuendo a modificare, giorno dopo giorno.
La storia imbastita da Gipi è cruda, fatta di violenza e vessazioni, in un mondo confinato in un enorme lago oltre il
quale è proibito andare, dove il cibo è poco, dove il veleno ha contagiato tutto e tutti, un posto nel quale ognuno deve pensare solamente a sé stesso ed alle persone più vicine, dove i buoni sentimenti sono così repressi da dover affrontare una dura lotta pur di uscire fuori. È una storia familiare in cui un padre per proteggere i propri figli è costretto a sopprimere l’amore che prova per loro, fino alla morte. Due bambini cresciuti in un mondo senza più divani, tappeti, senza più carezze, dovranno viaggiare fino a dove non si erano mai spinti prima per trovare un po’ di pace e delle risposte, per trovare, di nuovo, un calore familiare a loro sconosciuto.
Gipi riesce ancora una volta a fondere crudezza e tenerezza, in modi sempre nuovi ed inaspettati, e pur cimentandosi in una tipologia di storia per lui completamente nuova dimostra di essere perfettamente a suo agio con quello che fa, tessendo una trama solida e coinvolgente dove, pur non esistendo buoni e cattivi ma solamente diverse prospettive di una stessa visione del mondo, riesce a trascinare lo spettatore dove decide lui, facendogli tenere il fiato sospeso quando lo fanno i suoi personaggi, facendogli provare timore quando i protagonisti sono in pericolo, creando un perfetto filo conduttivo fra chi legge e chi agisce, anche lì dove non è così facile come sembra. E la sensazione, arrivando a fine lettura, è quella di avere fra le mani una delle opere fumettistiche italiane di maggior valore degli ultimi anni.
Andrea Ardone