“Quando si parla di carcere, si pensa sempre a quello che deve passare il detenuto, alla sua vita durante la pena da scontare. Spesso ci si dimentica di chi resta fuori dal carcere, della moglie, dei figli. Della famiglia. Anche loro sono costretti a passare attraverso una sofferenza, a scontare una pena”. Queste parole sono di Lallo, ex detenuto fra i protagonisti del docu-film Ombre della sera, diretto da Valentina Esposito. Proiettato al Nuovo Cinema Palazzo di San Lorenzo, nell’ambito della manifestazione L’evasione possibile, una tre giorni dedicata al carcere, alla vita, ai diritti, questo documentario si concentra sugli affetti che i detenuti sono costretti a mettere ai margini della propria vita una volta varcate le soglie del carcere.
Il concetto di struttura detentiva, in Italia, spesso è spogliato da quella che dovrebbe essere la sua funzione primaria, ovverosia di luogo adibito al recupero di persone da poter poi reinserire nella società. Questa idea spesso è sostituita da quella di “punizione”, pura e semplice. Chi ha sbagliato deve pagare, deve essere internato e poi, allo scadere della pena, succeda quel che succeda. Con l’obiettivo di sovvertire questa concezione è nato nel 2014 il progetto teatrale Fort Apache, una compagnia costituita da detenuti ed ex detenuti, che si propone di creare un’alternativa alla vita interna del penitenziario, anche nell’ottica di un inserimento in attività culturali, teatrali o cinematografiche, successivamente alla scarcerazione, facendo da tramite in quel passaggio, spesso traumatico, fra la reclusione e il reinserimento in società.
Proprio entro i confini di questo progetto è nato Ombre della sera, a cui hanno preso parte gli attori che si sono avvicinati al mondo teatrale durante i loro periodi di detenzione. Nella struttura narrativa del film, il ruolo dell’attore è indissolubilmente legato a quello del personaggio interpretato. Lallo, Sandro, Romolo, Alessandro, Matteo vestono i panni di sé stessi, così come le loro mogli, le figlie, le nipoti, e le battute, i movimenti, le espressioni, appartengono a loro. Interpreti e personaggi allo stesso tempo.
Le telecamere seguono porzioni di vita dei protagonisti mentre scontano pene detentive alternative al carcere, come
per esempio gli arresti domiciliari e la comunità di recupero, o che stanno usufruendo di un’uscita premio, proprio come nel caso di Lallo. Per la durata del documentario, non vengono mai esplicitati i motivi per cui gli attori hanno dovuto scontare le rispettive pene, ed anche la prigione intesa come struttura fisica è lasciata solamente a fare da sfondo, apparendo in maniera del tutto marginale. Questo perché i riflettori sono puntati esclusivamente sulle persone, sulle loro storie, su quell’affettività verso i propri cari che un’esperienza come quella della detenzione muta in maniera indelebile. I personaggi su cui si incentra il documentario sono diversi fra loro, appartengono a generazioni ed a vissuti differenti, ma in comune hanno molto più di quello che potrebbe apparire ad una prima occhiata. Fra loro c’è chi non ha potuto godersi appieno ciò a cui tutti, prima o poi, vorrebbero partecipare, ovvero la nascita ed il percorso di crescita dei propri figli e nipoti, la vita insieme alla propria moglie, agli amici. Il momento in cui ci si rende conto che ciò che si è perso non è solamente la libertà, ma con essa la possibilità di far parte di qualcosa di grande, di importante, annichilisce. Ed è anche per questo che è nato il progetto di Fort Apache, per dare una speranza a chi si sente perduto, per dargli qualcosa in cui credere e per cui sentirsi (ed essere) parte attiva della società.
I protagonisti sono presi solamente ad esempio, rappresentazione di quelle migliaia e migliaia di detenuti per i quali, alla pena da scontare, si aggiunge la mancanza dell’affettività, una mancanza che, ad oggi, viene limitata il più possibile in gran parte dei paesi occidentali. Si è parlato spesso del bisogno, nel nostro paese, di una riforma del carcere, della necessità di rendere più accettabili le condizioni dei detenuti, che devono sì scontare una pena per i crimini commessi, ma in condizioni che siano accettabili per l’umana dignità. Un aspetto, questo, che è troppo spesso trascurato nei fatti quanto accentuato dalle parole, portando ad un percorso legislativo fittizio che ancora oggi è lontano da una sua effettiva realizzazione. L’associazione Fort Apache Teatro, nata dalla mente della regista di Ombre della sera, cerca nel suo piccolo di migliorare questa difficile situazione.
Andrea Ardone