Valerio D’Erme, “Riflessi” d’autore: l’incontro a Roma con il giovane scrittore originario di Frosinone, ma ormai figlio adottivo della Città Eterna da quando intraprese la brillante carriera accademica all’Università “Tor Vergata”, dove ha conseguito la Laurea in Lingue e Letterature Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Oggi è ancora uno studente modello nella Facoltà di Comunicazione, Informazione ed Editoria. Perché nella vita non ci si ferma mai di imparare, di crescere, di migliorarsi giorno dopo giorno, di ampliare le proprie conoscenze, di fare la differenza dentro e fuori di noi. E non è certo la sua una questione di “narcisismo”, come lui tiene proprio a sottolineare in questa intervista.
Dopo la tua prima pubblicazione nel 2020, con il primo scritto in versi, “Questo libro parla di… Niente”, come spieghi la scelta del titolo “Riflessi” di questo tuo secondo libro, edito dalla casa editrice Scatole Parlanti.
“Il titolo non è inteso naturalmente come un riflesso verso qualcosa ma è inteso come una vera e propria riflessione. Confrontarsi anche con se stessi, per riuscire poi a comprendere e valutare le dinamiche esterne. Suscita sicuramente curiosità il titolo: proprio perché l’attenzione diventa così importante nella vita di questo fanciullo che è il protagonista della storia. E poi direi emblematica l’immagine della copertina: questa goccia verde di alberi che cade e si riflette. Come i molti avvenimenti della nostra vita che rappresentano proprio queste gocce che cadono in continuazione”
E queste riflessioni sono quelle indotte dentro di te o quelle che cerchi di stimolare ai tuoi lettori?
“Chiaramente cerco di stimolare il lettore. Perché è importante essere al centro dell’attenzione? E’ proprio questa la domanda e la riflessione che sono suggerite dal sottotitolo del libro. Per me, come scrittore, è importante essere al centro dell’attenzione ma c’è sempre un limite invalicabile”
Ma come si arriva a capire questo limite?
“Il punto è proprio questo: non si deve superare questo limite, altrimenti si sfocia nel narcisismo. Il narcisismo è un segnale d’allarme per noi stessi ed è uno dei punti centrali di questo libro. Questo narcisismo dirompente effettivamente nella nostra società è molto diffuso, soprattutto negli ultimi anni con l’avvento dei social. Si divide in due categorie importanti: il narcisismo sano e quello patologico e, a sua volta si divide poi in sotto categorie che non sto qui adesso a elencare: la cosa, invece, che mi preme sottolineare è proprio quella di cercare di restare sempre “neutri”, ovvero riuscire a moderare la propria autostima per evitare proprio che il narcisismo sano possa poi diventare ahimè pericolosamente patologico”
Una riflessione e una introspezione psicologica sulla memoria, sulla realtà, sul tempo che scorre in questo tuo libro che conquista pagina dopo pagina: ma queste riflessioni che induci sono mirate sul nostro vissuto o sulle decisioni da intraprendere?
“In realtà nel libro ci sono entrambe. Da una parte infatti si parte dall’infanzia e dall’adolescenza di questo bambino, protagonista della storia, che poi cresce arrivando all’età di 32 anni e, nel corso della sua vita, si troverà a fare tante scelte con tante riflessioni legate non solamente sul proprio vissuto”.
Ma possiamo dire che sia anche una storia autobiografica?
“Assolutamente no. Anche se poi alcuni episodi, dai quali ho preso naturalmente spunto anche dal mio vissuto, sono stati modificati ma non posso certo dire che sia un racconto autobiografico. Ma sicuramente le emozioni che provo e che provavo le ho messe tutte dentro questo libro. Quasi che il lettore possa anche arrivare a pensare che tutto può essermi successo, come nella storia del protagonista narrante”.
L’ispirazione allora per narrare la vita di questo bambino dove l’hai presa?
“In realtà il primo paragrafo è tutto incentrato su una bambina che io definisco apposta narcisista (Holka ha sempre voluto essere una bambina appariscente. Di quelle che si sentono sempre al centro dell’attenzione), proprio per stimolare il lettore ad interrogarsi sul perché io la definisca tale. Poi dal secondo paragrafo cambia totalmente prospettiva la storia e inizia la vera narrazione in prima persona di questo ragazzino. Un ragazzino che potrebbe essere chiunque, perché il protagonista narrante è senza alcun nome e senza volto. Non è quindi il sottoscritto autore che parla ma il personaggio della storia, come anche fece Marcel Proust nella sua opera, Alla ricerca del tempo perduto, dove il narrante, colui che dice “Je”, non è certamente il Marcel autore”
In questo libro tocchi davvero diversi argomenti e tematiche che inducono profonde riflessioni: dall’alcool alla droga, dal sesso all’omosessualità.
“La difficoltà anche nell’accettare alcune situazioni, come ad esempio l’accettazione della propria omosessualità che non è certo una cosa semplice per un adolescente, soprattutto se poi si proviene da un contesto di vita chiuso. Se ci sono dei limiti, degli ostacoli non è che si riesce a superarli subito”
Ma c’è un capitolo del libro a cui sei particolarmente legato?
“Io innanzitutto consiglio di leggerlo tutto. Perché ogni capitolo può coinvolgere ognuno di noi in modo diverso, ognuno si può rivedere e riflettere dentro un episodio rispetto ad un altro. Forse un capitolo a cui sono particolarmente legato è quello relativo alla morte di una persona molto cara al protagonista, la cui narrazione è sicuramente stata per me quella emozionalmente più intensa”
E il protagonista della storia riesce a superare questi limiti?
“La domanda che pongo sempre al lettore è questa: è cresciuto questo ragazzo o no? Se il protagonista riesce a superare questi limiti sta quindi proprio al singolo lettore giudicare. Effettivamente non si capisce se riesca a superarli: in parte ci riesce ma non del tutto. E, se vogliamo, c’è una fine in qualche modo nascosta. Che potremmo, chissà, scoprire nel secondo libro che sto proprio scrivendo. Lasciamo allora un po’ di suspense. Ma, soprattutto, lasciamo le riflessioni personali ad ogni lettore”.