C’è ancora cinema nella serata di premiazione agli Oscar? Oppure tutta la kermesse è utile solo a una ripetitiva messa in scena con cadute di stile, utili a servire il piatto con effetto sorpresa?
Il famoso schiaffo ha caratterizzato la premiazione nello scorso anno. IN questa edizione è stata un’espressione impropria. Hugh Grant accanto ad Andie Macdowell per farle un complimento lanciato le ha detto lei è ancora bellissima. E ha continuato: “perché per vent’anni ha usato tutti i giorni una buona crema idratante, mentre io sembro uno scroto”. Ed è questo che resterà nella prossima edizione Oscar di quella appena celebrata. La più ridondante cerimonia del cinema ha bisogno di sortite grevi per far parlare di Sé. I film non sono più sufficiente. Tantomeno lo è la gara, la competizione impossibile tra opere di per sé tra loro non paragonabili.
Il film Everything Everywhere All At Once ha fatto man bassa con sette statuette, monopolizzando in questo modo l’intera processione degli Oscar. Nell’ordine: miglior film, miglior attrice (Michelle Yeoh), migliori registi e migliore sceneggiatura originale (Daniel Kwan e Daniel Schenert). Ma come se non bastasse: miglior editing, miglior attrice non protagonista (Jamie Lee Curtis), miglior attore non protagonista (Ke Huy Quan). Mancava solo il premio per la migliore shampooista. Ma è così che il film dei Daniels è partito dalla situazione di forza dei undici nomination.
Ma il migliore attore è Brendan Fraser nel film The Whale.
Fa impressione che il contendente del vincitore assoluto fosse di un film con una trama attinta da un classicissimo: Niente di nuovo sul fronte Occidentale che ha ottenuto quattro statuette (cinematografia, miglior film internazionale, set e colonna sonora). Ci si aspettava da questo film, invece, il premio per l’adattamento in forma di cinema che invece è andato a Women Talking (Il Diritto di scegliere, italianizzato) di Sarah Polley (regia e sceneggiatura). Stavolta non è scattato quel primato femminista di cui l’editoria e la pubblicistica dei nostri tempi si presenta come fregio della sua tendenza fondamentale.
Al femminile il premio al Non Protagonista. È Jamie Lee Curtis. Sempre per Everything Everywhere All at Once. La grande Cate Blanchett invece si è vista superare dal Michelle Yeoh del film-pigliatutto. Blanchett era lanciata nel film Tar: “Un faro di speranza”.
Ci si aspettavano due parole del primattore del momento, Volodymir Zelensky, ma non sono arrivate. La scena politica l’ha dominata, invece, il film Navalny. Regia di Daniel Roher mette in scena l’attentato al contendente di Putin che ha rischiato di morire avvelenato. Anche il documentario su Alexei Navalny ha guadagnato la statuetta. Nei corti live action prende invece la statuetta An Irish Goodbye.
L’Oscar è andato a The Whale di Darren Aronofsky. Doppie statuette ad Avatar e La Via dell’Acqua (effetti speciali) oltre a Maverick per il sonoro. (Deluse Rihanna e Lady Gaga che restano a bocca asciutta). IL premio al film d’animazione è andato a Pinocchio di Guillermo del Toro. Stavolta le previsioni si sono avverate. L’Oscar per la miglior canzone originale è andato a Naatu Naatu dal film indiano RRR.
Si scopre sempre più internazionalista questo massimo premio all’opera del cinema. Ed è per questo che le cadute di stile servono a rendere un effetto comico funzionale ad esser meglio recepito?