Sabato 2 ottobre sarà di nuovo “Cavriago Land Art”, presso le sale del Comune.
La seconda edizione della manifestazione è promossa dall’associazione culturale Gommapane Lab, con il patrocinio della Provincia di Reggio Emilia, del Comune di Cavriago e di Multiplo Cavriago, la rassegna è curata da Gaia Bertani e Nicla Ferrari, con la collaborazione di Ivan Cantoni.
Molto positivo il commento dell’assessore alla Cultura del Comune di Cavriago Martina Zecchetti: «Cavriago Land Art è in grado di rendere l’arte viva e parte integrante della nostra quotidianità. “Inciampare” in queste installazioni, che usano linguaggi non convenzionali per condividere la ricchezza della nostra terra, è un piacere per gli occhi e per lo spirito. Questa seconda edizione garantisce continuità al progetto e testimonia la qualità di un’iniziativa che ha trovato piena accoglienza nelle nostre comunità. Un sincero ringraziamento all’associazione Gommapane Lab e a tutte le artiste e gli artisti che hanno aderito all’iniziativa».
«Prendersi cura dei luoghi – dicono Gaia Bertani e Nicla Ferrari – significa prendersi cura delle persone; accogliere le opere nei luoghi del nostro vivere è un po’ come accogliere un ospite, fare attenzione che si trovi a proprio agio, andare incontro alla comprensione del suo linguaggio ed imparare qualcosa di nuovo. In sostanza, accogliere le opere nei luoghi del nostro vivere, sia naturali che antropizzati, ce li mostra sotto una luce diversa, forse ce ne rivela nuovi potenziali e ci insegna ad amarli di più».
Il tema dell’edizione 2021 sarà “Aria, Acqua, Terra, Fuoco”.
«Profondamente legati alla terra, al dominio minerale – commenta il critico d’arte Ivan Cantoni – si rivelano i fossili artificiali di Brunivo Buttarelli. Ricavata in negativo nella consistenza tenace del metallo, la figura umana di Fiorenza Fiorini appare, per contrasto, singolarmente affine alla inconsistenza dell’aria. Anche gli intrecci di Antonella De Nisco, sospesi fra gli alberi, evocano una leggerezza aerea, affine al mondo dei suoni a cui rimanda il loro titolo: “AscoltoGuardoParlo”. Eppure sono composti di sottili rami appartenuti in origine a cespugli e alberi scaturiti dalla terra. Sebbene realizzata in metallo, un materiale tipicamente ctonio, l’installazione di Oscar Accorsi, per la prevalenza di vuoti e per la natura sottile e riflettente dei profilati con cui è costruita, viene percepita come qualcosa di leggero e aereo, quasi privo di peso. Con l’erba e gli alberi del Parco del Rio dialoga intensamente la sequenza di terrecotte di Mirco Incerti: scaturite dal connubio di terra e fuoco, esse riescono ad evocare la fibrosità del legno e quindi a richiamare il dominio vegetale, le cui radici penetrano a fondo nella stessa terra con cui le sculture sono plasmate. Alla levità dinamica dell’aria ci riporta la “Casa Respi-Rosa” di Nicla Ferrari dove pareti intrecciate all’uncinetto, composte da centrini riciclati, costituiscono il labile confine fra l’interno e l’esterno di una minuscola dimora fiabesca. Alla terra, attraverso l’impiego del legno, si collegano le opere di Carlo Moretti e Federico Bianchi. Moretti, in un’unica stele, evoca in chiave simbolica attraverso la pratica dell’intaglio combinato all’uso del colore anche l’aria l’acqua e il fuoco. Bianchi, impiegando residui di tronchi e sassi provenienti dal letto del Po, riesce a farci percepire la forza plasmatrice esercitata dalla corrente su qualunque cosa venga trascinata nel suo flusso. Al cielo e ai suoi doni sono dedicate le installazioni di Piazza Benderi, dove l’opera di Mirko Frignani dirige il nostro sguardo verso l’alto, in uno spazio concettuale pensato per mediare, attraverso un processo di straniamento, la nostra percezione dell’alto, di quanto ci sovrasta sia in senso fisico, sia in senso figurato (o forse, addirittura, spirituale). Siamo nel dominio dell’aria. Una pioggia di gocce lavorate sapientemente dall’uncinetto di Federica Merli porta in basso, verso di noi, condensandola in migliaia di nodi, la leggerezza delle nubi, che siamo portati a immaginare come matasse di cotone in attesa di essere lavorato».
Roberto D’Amato