7 dicembre 2023, alla fiera Internazionale del libro di Roma, Lirio Abbate e Giuliano Foschini dialogano sulle figure femminili nelle organizzazioni criminali dall’Area Robinson di Più libri più liberi. Giuliano Foschini ci racconta: La mafia Pugliese non è una mafia dei pastori, ha tratti arcaici, la rete di affari e alleanze criminali dal Gargano e dal Tavoliere, ma anche il ruolo della donna nel ruolo nella mafia.
È una mafia che mescola familismo e tradizione, sangue e cocaina. “La loro violenza è arcaica e bestiale. I loro uomini firmano gli omicidi sparando al volto, perché deturpare le sembianze significa cancellare anche la memoria. Dagli anni settanta a oggi, gli omicidi sono stati 360, l’80 per cento dei quali rimasto irrisolto.
Quello mafioso non è né un mondo di donne né un mondo per donne. É un mondo di uomini, fatto di padrini e picciotti, di boss e sicari. In questo mondo non pare esserci posto per le donne che infatti vengono svuotate della loro individualità, venendo ridotte alla “moglie”, “madre” o “figlia” del boss. Tuttavia nonostante le apparenze, il ruolo della donna di mafia è tutt’altro che marginale ma, al contrario, riveste fondamentale importanza.
Pur essendo escluse formalmente dall’organizzazione, tanto che le stesse non risultano né come affiliate né partecipano ai riti di iniziazione, le madrine sono state sempre presenti all’interno delle dinamiche di potere delle organizzazioni mafiose e in molti casi si sono sostituite agli uomini incarnando i medesimi disvalori.
Il ruolo che storicamente è sempre stato svolto dalle mafiose è quello culturale. Infatti, sono state le donne che, all’interno della sfera privata familiare sono state incaricate di educare i figli per indottrinarli alla cultura mafiosa. Sono infatti le donne ad essersi rese istruttrici dei (dis)valori che caratterizzano la cultura mafiosa quali l’incitamento all’odio e la fedeltà al clan. Allo stesso modo sono sempre state le madrine coloro che hanno trasmesso ai figli il disprezzo nei confronti delle forze dell’ordine e la cultura dell’omertà.
É evidente che l’aspetto educativo e culturale di trasmissione del codice mafioso è di fondamentale importanza per la sopravvivenza della famiglia e del clan e che, il ruolo di educatrice, finalizzato tra le altre cose al rafforzamento della struttura del sistema mafioso, riveste fondamentale importanza. La madrina è la custode e la responsabile della trasmissione della “psiche mafiosa”. Sono loro che educano i figli alla vendetta e all’onore, a non lasciare impuniti i torti subiti dalla famiglia e dal clan.
Le donne di mafia poi rivestono un secondo e diverso ruolo, quello criminale. Inizialmente, le madrine altro non erano che delle mere gregarie e supplenti dei boss ma, nel corso degli anni le stesse sono giunte a rivestire il ruolo di vero e proprio leader. A partire dagli anni 70, quando sono poi emerse delle nuove esigenze legate al traffico di stupefacenti e di riciclaggio di denaro la figura della donna di mafia subisce una svolta.
Si noti tra l’altro come questi siano gli anni in cui la repressione delle attività mafiose da parte dello stato si è fatta maggiormente incisiva, rendendosi quindi necessario sul fronte mafioso che, nonostante numerosi boss si trovassero in carcere o fossero comunque sottoposti a misure restrittive della libertà personale, i traffici e gli affari venissero comunque proseguiti per non fermare il sistema. Ed ecco che le donne sono state fatte scendere in campo sostituendosi agli stessi boss.
É poi cruciale osservare come, l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori ovvero poliziotti, magistrati, studiosi si erano assestati sul vecchio stereotipo, proposto dagli stessi mafiosi, della donna silente, defilata, che aveva soltanto un ruolo passivo di madre e moglie e che fosse di fatto all’oscuro degli affari e degli atti criminali perpetrati dagli uomini della famiglia, per anni abbia permesso alla donna di mafia di godere di una sorta di impunità dal momento che il binomio donna-crimine era difficilmente accettato, in quanto violava le aspettative sociali. Le donne hanno così usufruito di una sorta di invisibilità, per operare, semplicemente, approfittando di una società che non voleva ammettere che loro fossero capaci di un comportamento criminale.
Il contributo delle donne a Cosa Nostra è stato (e può tuttora essere di diverso tipo) anche se risulta essere stato reso maggiormente in tre attività: nel traffico di droga, nel riciclaggio di denaro e nella gestione di potere. Nonostante un apparente coinvolgimento delle donne nella direzione e nel comando mafioso, la mafia è e rimane un sistema fortemente patriarcale e maschilista. Infatti, lo stesso (apparente) coinvolgimento delle donne ai vertici di “Cosa Nostra” non deriva da una “redenzione” o dal riconoscimento della parità dei sessi ad opera dei capi-clan. Infatti, gli uomini di mafia hanno sempre consapevolmente deciso di sfruttare l’invisibilità della figura femminile comunemente attribuitole dalla società.
L’uomo di mafia, il boss, il padrino male accetta, infatti, l’autonomia, l’indipendenza o la forza che la donna di mafia potrebbe voler dimostrare. Ed è qui che le donne di mafia da carnefici diventano vittime. Le vittime sono quelle donne che, con coraggio, hanno deciso di ribellarsi al sistema mafioso, che hanno cercato una vita migliore per i propri figli e nipoti, lontano dai disvalori del sistema criminale. Sono quelle donne che sparivano ad opera della “lupara bianca”. Quelle donne sono numerose, e tra le loro storie quella più famosa è sicuramente quella di Lea Garofalo che pagherà con la morte la propria coraggiosa decisione di farsi testimone di giustizia e di testimoniare sulle faide interne, tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Cosco.
Nonostante le storie di mafia non siano mai a lieto fine, dalle storie di queste donne è comunque possibile comunque trarre un insegnamento positivo. Queste donne d’onore e del disonore hanno infatti qualcosa da insegnarci. Sono donne estremamente coraggiose, estremamente determinate e pienamente consapevoli di sé stesse, in un mondo spietato, sbagliato e avverso. Le loro storie ci insegnano però, il coraggio e l’importanza di scegliere per sé. Lirio Abbate ha sottolineato – proprio perché le donne sono spesso un passo avanti nelle strutture mafiose, gli uomini ne hanno paura. La paura che possono tradire le cosche perché se la donna collabora con la giustizia ha il potere di scardinare le cosche.
Anna Rita Santoro