Se n’è andato a 78 anni il regista visionario che ha inventato il dettaglio disturbante. Dovrà trovare uno spazio tutto suo nella Storia del cinema, David Lynch. E sarà molto curioso vedere come potrà essere collocato, se come un regista di un filone – e non si capisce bene quale – oppure semplicemente un’espressione eloquente della sua generazione. Questo vale sia per le sue grandi innovazione in grado di dargli il nome e la risonanza – Elephant Man e Twin Peaks, che per i suoi flop – Dune.
Tutti hanno in comune quel dato dell’inquadratura devastante, la stessa oramai in grande uso tra i registi a la page. Ma anche quel dettaglio che serve a disorientare lo spettatore, a dargli una deviazione orticante tanto da rovesciargli totalmente il senso della scena diretta a dire ben altro.
Solo per fare un esempio possiamo annoverare un piccolo cameo che si riserva nella serie di telefilm di Twin Peaks dove lui stesso recita facendo la parte dell’investigatore quasi totalmente sordo. Si ostina a parlare ad un volume altissimo di voce. Una scena di passaggio, senza rilevante importanza, aggiunge forte inquietudine al contesto inquietante ma comunque gestito nei ritmi della narrazione.
Lo stesso avvenne con Elephant Man che lo portò al grande successo, dove non era sufficiente trattare la storia di un uomo orrendo e strumentalizzato per diventare un’attrazione per tanti visitatori. La soffocante condizione della dimensione fisica è poca cosa davanti alla sofferenza costante sopportata dall’uomo.
Ma il capolavoro della rappresentazione di questa inquietudine orticante avviene con Muholland Driver. Film veramente spossante dove la storia dal carattere giallesco offre gli aspetti surreali di alcuni suoi protagonisti secondari. Solo alcuni. Non si tratta di una dimensione utilizzata sistematicamente. Quasi a dire che il lato mostruoso di alcune situazione e persone riusciamo a percepirlo solo se poniamo la nostra attenzione su di loro.
Kafkiana quell’insistenza sulla ripresa di uno scarafaggio rovesciato che serve solamente da fare da contorno a una scena in campo aperto diretta a dire ben altro. Ma su quell’animale a cui è impossibile ritrovare la posizione naturale e alla sua prevedibile angoscia si dirotta tutta l’attenzione dello spettatore.
È il cinema di David Lynch teso a non fermarsi alla storia anche nelle sue angolature più intricate. Il lato inquietante della vita, sembra volerci dire, avviene quando ci fermiamo un attimo e decidiamo di concentrarci su un particolare.
Esagera in questa ricerca in film come Dune e Blue Velvet ricordati come delle autentiche cantonate, tali da costringerlo a dover risalire la china con trame e proposte più convincenti per il grande pubblico.
Sicuramente un grande per la generazione che lo ha ammirato ma è altrettanto certa la sua assenza dall’Olimpo dei grandissimi nella Storia del Cinema. Ed è meglio così. Si sarebbe annoiato. E poi costringerebbe gli ammiratori a spiegare il motivo di questo ingresso nell’Empireo. Sicuramente quanto è avvenuto dopo nella storia del cinema aiuterà a giudicarlo con maggiore clemenza.
Gli sia lieve la terra.