Festa della Repubblica – 2 giugno scorso -, il Presidente, Sergio Mattarella, a Roma, all’Altare della Patria in Piazza Venezia, ha sistemato la corona d’alloro in omaggio al Milite Ignoto. Qualche giorno prima, il 24 maggio, in occasione del centenario dell’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale (1915), il Capo dello Stato ha posto, in mattinata, una corona di fiori all’altare della Patria; poi a Monte San Michele, in provincia di Gorizia, ha partecipato alle celebrazioni dell’anniversario dichiarando che:«Il conflitto 1914-18 fu una tragedia immane che poteva essere evitata. La guerra, ogni guerra, porta sempre con se’ sofferenza, distruzione e morte. I caduti, di ogni nazione e di ogni tempo, ci chiedono di agire, con le armi della politica e del negoziato, perchè in ogni parte del mondo si affermi la pace. Si tratta del modo più alto per onorare, autenticamente commossi, il tanto sangue versato su queste pendici martoriate.»(Intervento del Presidente Mattarella in occasione del 100° anniversario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra a Monte San Michele – Sagrado (GO) 24.05.2015 Fonte: www.quirinale.it). Alle 15.00, minuto di silenzio osservato dalle istituzioni, dalla società civile e dal mondo dello sport: l’Italia si è fermata per sancire il triste ricordo dei caduti, le sofferenze e il dolore misto a fango e gloria. Tante e diverse sono state le manifestazioni e le commemorazioni solenni nel nostro Paese che hanno occupato le prime pagine di giornali e gli spazi di radio e tv. La serena incursione di emozioni e testimonianze degli eventi e delle celebrazioni di queste ultime settimane ha aperto scenari di memoria, di sacrificio e di sangue versato inutilmente. Momenti importanti della nostra Storia. Il primo sotto il segno della nascita, della vita. Il secondo funestato dalla morte, dal sacrificio della vita. Entrambi i momenti, padri di quei protagonisti attivi quali – sono e saranno – lo Stato e i Cittadini.
A questo proposito, necessita un salto nel passato per fissare date e numeri. Dopo la caduta del fascismo, il 2 e il 3 giugno 1946, fu indetto il referendum istituzionale a suffragio universale: gli italiani chiamati alle urne decretavano la forma di governo da dare al Paese, votando fra monarchia e repubblica. Con 12.718.641 voti contro 10.718.502, dopo ottantacinque anni di regno, i re di casa Savoia venivano mandati in esilio e l’Italia diventava Repubblica. Il 2 giugno si celebra la nascita della Nazione, con lo stesso significato che ha il 14 luglio 1789 in Francia, con la Presa della Bastiglia che segna l’inizio della Rivoluzione; e del 4 luglio 1776 negli Stati Uniti d’America, con la Dichiarazione d’Indipendenza firmata dai Padri Fondatori.
La Prima Guerra Mondiale o “Grande Guerra”: fu il più grande conflitto armato mai combattuto fino alla seconda guerra mondiale; costò il sacrificio di 650 mila caduti militari e circa 600 mila vittime civili. A distanza di generazioni, quell’atroce massacro, stati d’animo e paure si rinnovano nel ricordo e nelle commemorazioni per non dimenticare i morti per la Patria.
In mezzo a queste date, 22 milioni gli elettori chiamati al voto, dalle 7 alle 23 del 31 maggio, per una tornata amministrativa che riguarda il rinnovo di 7 Regioni a statuto ordinario quali Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto, e 742 Comuni – di cui Arezzo, Chieti, Enna, Fermo, Lecco, Macerata, Mantova, Matera, Nuoro, Rovigo, Trani, Venezia andranno al ballottaggio il 14 giugno (in Sicilia si voterà sia il 14 sia il 15 giugno). Tra i dati, senza nulla togliere a probabili vincitori e vinti, spicca il crollo dell’affluenza alle urne. Astensionismo imperante. Ma che fine ha fatto lo Stato e il Cittadino di cui abbiamo parlato pocanzi? La possibilità di mettere in atto la Democrazia, la possibilità di suggellare la partecipazione attiva di Cittadini ai proponimenti dello Stato, è buttata via senza se e senza ma a discapito di quel concetto di Nazione, tra limiti territoriali e limiti di cooperazione europea e globale.
E il contesto cambia. Inodori stelle alpine di carta, impotenti salve d’onore, magistrale sfilata lungo i Fori Imperiali – Forze Armate, Forze di Polizia, Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e Croce Rossa Italiana-, inno di Mameli, vivide scie tricolori tratteggiate nei cieli per suggellare le giornate patriottiche e di orgoglio nazionale del nostro Paese.
I conflitti accesi nel mondo riportano a galla sangue e morte, soffocano gioia e voglia di vita. Così, per non essere da meno e per onorare senza spegnerci nella retorica, la vita quotidiana diventa aggancio, traccia da seguire altrove, quasi una protesi per il continuare ad essere memoria liquida e partecipante; incetta del passato per un percorso di pace – pieno di quella correttezza logica e di quella validità delle argomentazioni – che conduce ad un’equilibrata elargizione della stessa oggi e domani.
Ecco, che proprio per questo motivo, dopo tanto parlare di martiri, di vittime, di popolo, è semplice e fisiologico il ricorrere a raccontare con il teatro e con lo spettacolo La Guerra Grande. Storie di gente comune, andato in scena, al Teatro India di Roma, per l’occasione del 100° della Prima Guerra Mondiale. Il pubblico intervenuto si è trovato davanti ad una trasposizione teatrale alla memoria – liberamente tratta dall’omonimo libro, dello storico, Antonio Gibelli – in sintonia con il raccoglimento corale dell’evento della giornata.
Premiata la commistione di stili, che integra con consonanza le voci del conflitto e le tecniche moderne sul palcoscenico: riflesso positivo dell’intraprendenza della giovane regia, Roberto Di Maio, e drammaturgia, Paolo Di Maio, che ben si rappresentano. Indiscussa la composizione del palcoscenico, con gli spazi suddivisi all’Ufficio, alla Chiesa/sagrestia, all’Ospedale, alla Prima linea. Ragguardevole l’intreccio, il momento delle gag e dei siparietti sul palco – divertente ma non indelicato – che non ha mai inficiato la greve trama della messa in scena e che si è dimostrato di grande respiro per la durata dello stessa.
Spente le luci. Silenzio in sala. Accesa la riproduzione dei filmati: immagini e rumori delle scene di guerra in bianco e nero – estrapolate dagli archivi dell’Istituto Luce – scorrono di fronte, sulle alte pareti, al di la del set di scena in penombra, mentre i comunicati e i bollettini di guerra si sprecano. Sarà solo uno di essi, quello che rimarrà a fluttuare, sulle teste e nei cuori dei presenti, più pesante degli altri:”…che grandissimo sacrificio questa guerra grande!”.
Ed eccoli li – in mezzo alle lettere dei soldati al fronte e dei cari rimasti a casa – il Tenente Rossetti (Stefano Fresi: veste bene i panni di un complesso personaggio, e sul palco lo si vede costretto, fino alla fine, a barcamenarsi tra il ruolo civile del maestro, e quello da ufficiale e da militare, al fronte) e il giovane soldato Manzi (Giulio Cristini: rispettoso e disponibile, recita il ruolo d’apprendista correttore con quella ingenua umanità propria del bravo ragazzo) nell’ufficio di Bologna addetto al controllo (e censura?) della corrispondenza da e per le linee trincerate:”La nostra è una guerra per corrispondenza!…di questi tempi, la scrittura da, la scrittura toglie…” dirà il Tenente al preoccupato Manzi. Questi di rimando, continuerà a leggere:“Sette Luglio 1915. Matteo, da Viterbo ha ucciso alcuni austriaci ed ha vomitato tutta la notte – lo scrive solo al prete, se no la madre si preoccupa; e il prete gli consiglia di pregare.”A questo punto il Tenente darà il suo parere con un ”Originalissimo!”che gli astanti accoglieranno – nonostante tutto – con misurato buon umore. Il soldato Manzi non si ferma nel fare il punto della situazione, e va avanti:”Salvatore, da Frosinone, elenca i compagni morti durante l’assalto (migliaia), precisandone i nomi… Su ordine di Cadorna la 2° Armata assalta il Montenegro. Nulla di fatto. Il nemico austroungarico ha riportato indietro la linea italiana. Ingenti perdite su entrambi i fronti”. La poesia, a fine giornata, sarà l’arma per addolcire l’amarezza e la crudezza dei carteggi, la panacea all’odore di guerra e di morte sprigionato dalla carta e dall’inchiostro addensati nell’ufficio militare. Fra la riproduzione di musica dell’epoca, il Tenente declamerà versi contriti per la Patria, per il Paese e per tutti i suoi Santi ed Eroi:“Felici coloro che sono morti per la terra carnale purché la loro fosse una guerra giusta…”- Charles Péguy (perchè è mai esistita o esisterà mai una guerra giusta?).
Gli applausi lasciano posto ad un comico siparietto. Siamo sul fronte, con due militari nella divisa grigio-verde, elmetto e fucile. Uno di loro è di vedetta. Scambi di pensieri sulla guerra e sugli stenti della trincea, poi lo sfogo del macellaio di Salerno, Giovanni, detto il professore:“Non so come sono fatti…loro i nemici, cosa che non mi va giù… Qui si muore fermi!”. Il dialogo fra i due continua. Giovanni (Piero Cardano: drammaticamente divertente con l’accento partenopeo!) scrive lettere. Amedeo (Rosario Petix: marito geloso, uomo del nord ed amico generoso; bella l’interpretazione di Amedeo prigioniero), ne vuole una per la moglie Gemma. E Giovanni fa il prezzo:“Una sigaretta per i saluti, due per i sentimenti!…Il tipo di carta è importante: la carta trattiene le parole; la carta è la casa dei sentimenti!”. La lettera per Gemma è pronta, si può uscire di scena.
Stavolta, a prendere parola è Don Alfonso (Diego Sepe: fa suo l’abito talare e si prodiga per gli altri, come in un remake di Don Camillo – quello di Don Camillo e Peppone). E’ in chiesa e fa la sua omelia ai fedeli, ricordando il brutto momento che ha colpito il Paese. La sofferenza si concentra e culmina nelle parole:”Anche oggi, fratelli e sorelle, siamo qui per piangere!”. Don Alfonso, dal pulpito legge il Vangelo di Luca. Il vangelo della gente comune. Gemma (Lucrezia Guidone: perfetta nella moglie che aspetta e si preoccupa della casa e dei figli, regala momenti emozionanti e strazianti quando – saputo della scomparsa del marito e della mancanza della salma – dirà:”Non si bussa ad una vedova senza portare niente!”) va dal prete, si fa leggere la lettera di Amedeo, e Don Alfonso le confida che forse lo farà tornare in licenza (purtroppo Gemma e Amedeo non riusciranno più a vedersi!).
Spettacolari le scene in cui si riproducono i suoni con beat elettronici e si usa il video-mapping, le proiezioni di immagini in movimento sui corpi degli attori e sulla scena: sembra di rivivere gli attacchi e le battaglie del fronte bellico. Proprio durante uno di questi combattimenti, Giovanni è ferito. E’ il momento della storia d’amore tra Giovanni e la bella crocerossina Rosa, di Firenze (Beatrice Fedi: piccola e simpatica nel suo ruolo, brava e determinata quando litiga e doma la benda con cui deve fasciare la testa dell’innamorato o far comunicare a Gemma la morte del povero Amedeo). Da Rosa che dice:”Non mi piacciono gli uomini che dicono bugie” parte l’incipit per il bacio fra i due giovani: scena inaspettatamente bella e leggera. Ma basta così. Facciamo un salto in avanti, mentre il carteggio fra soldati e famiglie continua, la guerra diventa più cruenta e il numero dei morti aumenta incresciosamente.
Particolarmente suggestiva e delicata l’atmosfera creata dalle parole del Parroco quando dice:”L’uomo è nato per commettere errori e cambiare idea!” confidando al Tenente di aver avuto, anche lui, un momento in cui non aveva creduto più a niente:”Uno, uno solo!”. Ma l’apice del dolore si raggiunge quando Amedeo, catturato, muore di stenti prigioniero dei nemici. Toccante e atroce sentire Amedeo parlare con la foto della moglie Gemma, la quale dando le spalle al suo uomo, ne condivide la scena, mentre attorno se ne ode scandire il peso che diminuisce inesorabilmente – da 72 kg giunge a 39 Kg – e il suo grido si alza agghiacciante su tutto e tutti:”Ho fame!”. Prima che giunga la morte ha il tempo di chiosare:”Mi vergogno perché non muoio in trincea…la matita l’ho data per un pezzo di pane!”. Amedeo esce di scena. Gemma, con gli scarponi in spalla, lo segue. A sdrammatizzare, arriva il ritmato filarino di Giovanni e della sua infermiera. Per poco. Il dramma cala nuovamente quando si ricorda l’amico scomparso e la povera Gemma a cui comunicarlo. I funerali si svolgeranno senza le esequie, ma ciò che farà più male saranno le crude verità del parroco, che ricorderà Amedeo soprattutto come “un padre, un marito, un figlio di Dio“, e la constatazione del Tenente che riporterà in auge il concetto detto all’inizio della rappresentazione:”…una guerra giusta…sentite come suona bene…“. Commovente l’abbraccio solidale di Gemma e Rosa. Commovente Giovanni, che chiude il sipario sul comunicato che annuncia il 4 novembre 1918, ovvero la fine del conflitto bellico, mentre indossando l’elmetto, i pezzi di carta, i pezzi delle lettere, lentamente gli scivolano addosso, pesanti come le vite spezzate e leggeri come le voci senza corpo, intrise di orgoglio, di verità, di affetti, di patriottismo, di dolore ma anche di speranza e futuro. Applausi a scena aperta. Maria Anna Chimenti
Video spettacolo teatrale http://www.rainews.it/dl/rainews/media/La-Grande-Guerra-storie-di-gente-comune-e312ed53-cee1-463b-b3cd-eff80bb2c984.html
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella commemorazione Altare della Patria 100° anni dalla Grande Guerra http://video.repubblica.it/rubriche/reptv-news/reptv-news-guarda-l-edizione-integrale-delle-1945/203099/202172?ref=vd-auto
Sito Ufficiale della Grande Guerra https://www.youtube.com/channel/UCfTxED1h5kzn_85rHPCkvjg
Video minuto di silenzio lungo un secolo 1945-2015 https://www.youtube.com/watch?v=KVZsF-KNED8
Giuseppe Ungaretti https://www.youtube.com/watch?v=R-s41afmpTo