C’è una voce che probabilmente più di ogni altra ha accompagnato l’infanzia di chi è nato in Italia fra gli anni ‘80 e ‘90, una voce che ha unito bambini e ragazzi di ogni parte del paese, riconoscibile a chiunque oggi abbia dai quaranta, quarantacinque anni in giù (ma, perché no, anche chi è più in là con l’età). Non stiamo parlando delle Spice Girls o dei Backstreet Boys, né di Jovanotti o degli 883 ma dell’inconfondibile timbro di Cristina D’Avena, che ha accompagnato le mattine ed i pomeriggi di migliaia e migliaia di bambini e bambine, introducendoli ogni volta in
un mondo diverso. Memole, Sailor Moon, Kiss Me Licia, I Puffi, Denver, sono solamente alcune delle sigle che sono rimaste nel cuore di tutte quelle persone che alle 16, tutti i pomeriggi, erano immancabilmente davanti alla tv, per seguire le avventure dei loro eroi ed eroine preferiti.
Ora la cantante bolognese è tornata per una serie di concerti che portano indietro nel tempo tutti coloro la cui infanzia è stata segnata da quelle sigle, e dalla sua voce. In compagnia dei Gem Boy, band rock-punk diventata famosa anche per aver parodizzato alcune delle opere di Cristina, è stato messo in scena un vero e proprio spettacolo che va oltre il semplice concerto, con intermezzi comici e momenti in cui la nostalgia torna più forte che mai.
L’ultimo evento in ordine cronologico si è svolto nel piazzale del centro commerciale di Porta di Roma ed ha visto un’affluenza di pubblico eccezionale, ancor più sorprendente se si pensa che le protagoniste della serata erano sigle di cartoni animati, e non le canzoni pop o commerciali che tanto sono in voga l’estate. Va detto anche che gli anni passano per tutti, e per quanto la figura di Cristina D’Avena è e sarà sempre quella di vent’anni fa, durante la serata è stato evidente in diverse occasioni che la sua voce non è più quella di una volta, tenendo anche conto del fatto che la
fatica di un concerto dal vivo non è minimamente paragonabile ad una registrazione in studio. Ma questo non è bastato a frenare l’entusiasmo del pubblico, che comprendeva persone di cinque e di cinquant’anni e che, per tutto il tempo, ha cantato a squarciagola le canzoni della propria infanzia e, in alcuni casi, dell’infanzia dei propri figli. È forse questa la cosa più bella di un evento del genere, una corda invisibile che unisce persone di ogni età, che probabilmente hanno poco e nulla in comune, se non l’amore per le canzoni di quando si era tutti bambini.
I Gem Boy, lungi dall’essere solamente un gruppo di spalla, sono stati i protagonisti di tutti i pezzi cantati, intervallati da battute e sketch comici come è nel loro stile. Non sono mancati neanche i momenti romantici, per esempio quando Carlo Sagradini, la voce storica del gruppo, si è inginocchiato per chiedere in matrimonio la mano di Cristina D’Avena, salvo poi scoprire che l’anello di fidanzamento era stato rubato dalla famigerata banda di ladre di Occhi di Gatto. A quel punto non c’è stato nulla da fare se non cantare la sigla di quello che è uno dei cartoni più amati di quel periodo.
Momenti di tensione ci sono stati quando tra la band e Cristina è nata una disputa su quale canzone fosse meglio cantare, se Daitarn, votata da tutti i bambini (dove per bambini, sia chiaro, si intende anche coloro che non lo sono
più, ma che per una sera sono tornati ad esserlo) o Piccoli problemi di cuore, ovviamente richiesta a gran voce dal
pubblico femminile. La calma è tornata quando, per compromesso, si è scelto di cantare una canzone che fosse un remix (che pure tanto di moda andavano negli anni ‘90) fra i due testi, con un risultato eccezionale in termini di sonorità e di trasporto del pubblico. Di entrambi i sessi.
Per una sera centinaia di persone si sono riunite in un unico posto per ascoltare ancora una volta le canzoni della propria infanzia, nella versione tradizionale o un po’ modernizzata a seconda dei casi, e per due ore e mezza sul centro commerciale, teatro di questo spettacolo, è calato un enorme velo che ha fermato il tempo, anzi, lo ha riportato a vent’anni fa.
Andrea Ardone