Il poeta “intemporaneo” appena rientrato dal Festival di poesia Terre di Virgilio, dove è stato ospite con suo libro “Anche le scimmie odiano Tarzan“, dal 23 al 25 settembre 2016, per la seconda edizione del Sirmio International Poetry Festival che si è svolto a Sirmione, si racconta in questa intervista come non lo ha mai fatto.
Incontra la poesia a 40 anni e lascia tutto per dedicarsi solamente ad essa, perché? Ci sono particolarità proprie della poesia e che non si ritrovano in nessun altro tipo di espressione?
L’incontro avvenne in una strana notte, mi ero licenziato per l’ennesima volta, sentivo che era l’ultima, non avrei più accettato di lavorare per altri. Sconforto, angoscia, disperazione, da questo trittico è scaturito il mio primo scritto. Ricordo nitidamente: presi un quaderno (che ancora conservo), lo fissai e mi persi in quel chiaro cartaceo, come se avessi trovato un’apertura o un canale. Non vorrei sembrar folle ma quella notte accadde qualcosa di inspiegabile, prima di allora non avevo mai scritto versi né altro, ero una carcassa alla deriva incapace di ascoltarsi, fino a quella notte. Scrivere versi è dannatamente difficile a dispetto degli strumenti che servono per creare e cioè foglio e penna. La particolarità sta proprio in questo. I pittori, i musicisti, i registi, i fotografi hanno un arsenale cospicuo con cui mettere a fuoco quel che pensano, i poeti con sale e acqua ricostruiscono il big bang senza effetti di scena. Non ho mai provato altre forme d’espressione ma sento di non essere idoneo, con la poesia non ho tentato, ci siamo posseduti.
La produzione poetica, apparentemente, sembra aver percorso e segnato ogni via e abbia ora raggiunto la sua compiuta libertà. Ma è vero? O c’è qualcosa che ancora manca, a cui il poeta deve ancora protendere?
Si scrive perché manca sempre qualcosa, il fine non è la libertà. I poeti non la raggiungono, la modificano, accasandosi nei pressi del loro limite a cui tenderanno senza mai superarlo. È una tensione continua, lieve e sorprendente.
Cosa intende per scrittura “intemporanea”? Qual è il legame che unisce i suoi versi alla musica?
Inizio dal secondo interrogativo: se sapessi cosa unisce le mie parole alla musica non sarei più in grado di scrivere nulla, mi sono convinto che è congenito. Nascono insieme, anzi sono un solo elemento: grafico-notale. Ho dovuto coniare la terminologia “intemporanea” perché dopo le mie scritture in pubblico, qualcuno scrisse di me “poeta estemporaneo”. Niente di più falso. Ogni verso è frutto di un lavoro enorme che ho effettuato su me, fatto di approfondimenti, studi e confronti, ma la parte dura rimane la percezione del quotidiano. Osservare, interagire anche con l’oggetto inutile, con il gesto scontato, esaminare gli scarti del prossimo. La scrittura sul foglio è per me l’epilogo di un’incessante attenzione verso quel che mi circonda, se sono stato bravo, le immagini pioveranno senza sosta e io deciderò quali far cantare. È così che scrivo in intemporanea, nel tempo e non fuori dal suo disturbo.
Viviamo in un mondo dove “ritmi”, perlomeno quelli occidentali, sono legati inscindibilmente al potere, agli equilibri oscuri e spietati, di sistemi economici e politici che mutano e si irrobustiscono, in netto contrasto con raffronti, eventi e fenomeni che potrebbero pregiudicare il loro predominio sulle nostre società. Chi è il protagonista in “Anche le scimmie odiano Tarzan”?
Goethe stabiliva una sorta di piramide sociale, i pratici alla base, poi quelli che sanno, di seguito quelli che vedono poi quelli che abbracciano; ecco il protagonista è plurale sono quelli che abbracciano che “comprendono” e che pagano un caro prezzo, l’incomprensione per aver compreso.
I versi segnano attimi precisi nella vita di chi scrive e rileggendoli, anche a distanza di anni, è possibile rivivere limpidamente le stesse emozioni: cosa l’ha portata a non datare le sue poesie? E a dividere la sua raccolta in Massimo Comune Diviso e Minimo Comune Multiplo?
Le date sono importanti per i poeti che producono meno versi, così è possibile verificare la crescita o l’involuzione, le persone non sono come il Barolo, per molti il trascorrere degli eventi porta all’imborghesimento. Per quanto mi riguarda le poesie raccolte in volumi rappresentano il 30% di quanto ho scritto e molto ho ancora da mettere in musica. Considero l’insieme e non mi vivo il peso della cronologia, quel che vedo non ha tempo appartiene ad un unico grande respiro e non va datato, esiste solo un tempo quello della poesia. La raccolta si articola in due sezioni per via di un neo che ancora ho nel cervello: considerare il vero in modo diverso rispetto alla verità. In M.C.D evidenzio il rapporto tra i valori universali e il genere umano che vede le più alte espressioni dell’anima (la verità) divorate dal consumo di massa; in M.C.M risalto le pretese del singolo (Il vero) spesso lasciate al palo per paura di fallire.
Lei si mette più volte alla “prova” nei suoi versi e “quando la mente è tesa nell’aria in fiamme il pensiero cattura mille colpi d’anima”, pensa di ottenere una “ricompensa”? Se si quali sono le sue aspettative in merito alla scrittura?
L’unica e sola ricompensa a cui ambisco è il poter dire all’ultimo dei miei giorni “questo sono io”. L’attuale mondo poetico-editoriale non sa riconoscere un talento da un mediocre e pone quest’ultimo sul gradino più alto di un podio che non dovrebbe esistere.
“Sapere tutto ci rende indifferenti e cattivi pensatori” in questi versi c’è solo cinismo o consapevolezza dei limiti della presunzione umana?
Ho incontrato risme di dotti freddi come il ghiaccio lesti a dispensare massime e persone “ignoranti” accese dalla luce del buon senso, quel brillamento che ti permette di desumere le esperienze anticipando i fatti, cose in cui i poeti di coscienza primeggiano pur non avendo lauree e altisonanti titoli da mostrare.
L’editoria nella nostra nazione è un buco nero per gli autori esordienti, lei ha scelto case editrici non a pagamento e ha iniziato nuove collaborazioni, cosa pensa a riguardo e quali suggerimenti darebbe agli autori emergenti?
Direi che un autore non sceglie case editrici non a pagamento semmai viene scelto. Questo non significa che l’autore sia arrivato, anzi pubblicare è l’aperitivo d’una carriera, specie oggi, visto che lo spazio dedicato alla poesia è praticamente nullo. Se poi analizziamo in modo onesto la situazione italica vediamo che i poeti di chiara fama, o per meglio dire di chiara fame, fanno il bello e il cattivo tempo, determinando tendenze e mode, frenando quelle “stravolgenze” giovanili che hanno veramente qualcosa da dire e da dare. Il consiglio è questo: non vi fermate e non aspettate che qualcuno vi dica quanto valete, incontrate altri poeti, prendete parola, fatevi sentire e non siate cerimoniosi. Guardatevi dentro in modo oggettivo, un testo non è bello solo perché l’avete scritto voi, demolitelo, ridicolizzatelo, siate i primi nemici di voi stessi.
La letteratura in generale e la poesia in particolare in Italia non trova spazi tra i network televisivi, radio e social, secondo lei il pubblico italiano è abbastanza maturo e preparato per assistere ad eventuali programmi di questo genere?
Parlando in generale posso dire che informarsi dei poeti, acquistare i loro libri e parlare di poesia sia il vero atto rivoluzionario. Ascoltare e assimilare versi crea anticorpi contro il malcostume, la disonestà e la prepotenza. Chi ci governa, e sempre così è stato, ostacola la diffusione della poesia semplicemente non facendola muovere. Se una cosa non si vede non esiste. Aggiungo che i genitori di una famiglia media lavorano circa 9 ore al giorno con figli e faccende domestiche al seguito, con ciò dico che non hanno tempo e la poesia pretende tempo. Questo mi ha convinto a muovermi verso le persone, incontrandole nelle piazze, nelle fiere, nei locali, dove su una struttura verticale scrivo su fogli grandi, interagendo con i passanti. Non posso accettare tale stato di cose, non faccio come quei ricchi imborghesiti che si accontentano di pubblicare e leggono nei readings le loro favole di cartapesta.
Lei viene definito “uno dei più convinti resistenti che vivono, amano, lottano e scrivono” da Antonino Caponnetto, è una “Condanna”, una “Scelta” o semplicemente “Pazzia”?
Per gli addetti ai lavori sono un pazzo, per gli amici sono condannato, io ho scelto perché scelta non avevo, la scrittura poetica mi ha svegliato, mi ha preso a calci e rimesso in piedi. Ora non riesco a far altro che scrivere, non conosco altro modo per dirle grazie. Non fa parte delle domande ma oltre a lei che mi ha dato questa opportunità vorrei ringraziare il poeta Beppe Costa tra i pochi con la schiena ancora dritta.