Erano state annunciate in conferenza stampa le novità di Teatrosophia. Una stagione ricca di appuntamenti che spaziano dall’arte alla musica ma che lasciano la prosa come protagonista assoluta di questo interessante cartellone. Il fine settimana del 25 ottobre il teatro diretto da Guido Lomoro in via della Vetrina 7 a Roma, apre il sipario su I Monologhi di Teatrosophia.
In scena due spettacoli: il 25 ottobre L’Italia s’è desta scritto e diretto da Rosario Mastrota e Dalila Cozzolino e il 26 e 27 ottobre L’Angelo della Gravità di Massimo Sgorbani diretto e interpretato da Marco Falcomatà.
Ne L’Italia s’è desta: Carletta, la scema del paese, racconta la sua storia, del suo segreto. Assiste al rapimento da parte della ‘ndrangheta, in Calabria, del pullman della nazionale italiana di calcio, a due mesi dai mondiali. Lo scoop esplode. Esercito, politica, sport e giornalisti all’assalto del nuovo fenomeno mediatico. Tutti accecati dalla notizia “bomba” da regalare, non si accorgono di Carla, che sa dove è nascosto il pullman bianco e la nazionale di calcio. Ma nessuno le crede.
“Il monologo che racconta è arcaicamente legato alla riflessione sociale che tutto ciò che è detto appartiene alla storia e quindi alla verità” afferma il regista. “Questa operazione gioca, invece, nel caso specifico, sul falso accaduto. Un’invenzione plausibile che rispecchia la faciloneria delle “vittime” dei mass media e l’esaltazione e manipolazione che ne deriva”. Il gioco de L’Italia s’è desta si svolge sull’idea del racconto reale di qualcosa che, come al solito, successivamente, viene manomesso. Ma che nel caso specifico è già manomesso alla fonte. E’ un racconto metaforico-ironico di un’Italietta credulona.
Nel monologo si narra quanto sia cruda la piccola realtà intrisa quotidianamente di ‘ndrangheta e come la malavita sia arcaicamente consolidata e apparentemente inerme. Per assurdo pare che la ‘ndrangheta non esista, seppur tutti la riconoscono e tutti la temono, non parlandone. Ne L’Italia s’è desta la questione ‘ndranghetista viene affrontata in maniera leggera. Nessuna spettacolarizzazione, ma solo una derisione innocente, una smitizzazione. E questo, a nostro avviso, fa più male alla ‘ndrangheta, ne distrugge la forza e allontana la paura. Smitizzare può scardinare dei legami che per anni hanno reso l’organizzazione intoccabile. Non è una risoluzione, purtroppo, ma una leggera parentesi che può nuocere a chi si eleva a capo indiscusso senza regole.
Angelo della gravità, in scena il 26 e 27 ottobre, è nato a seguito della notizia di un detenuto in attesa che la sua condanna venisse eseguita tramite impiccagione. L’esecuzione però fu sospesa perché era grasso al punto che il suo peso avrebbe spezzato la corda del boia. Angelo della gravità è la storia di un bambino, cresciuto senza punti di riferimento e con poco amore, che si costruisce da solo il suo mondo e le sue convinzioni. Che trascina il fardello di un’eredità familiare e sociale conflittuale e spietata. Una storia che ci permette di raccontare l’omologazione imposta dalla società.
Un testo a tratti crudo, brutale, un vomitare ininterrotto di parole, confessioni e ricordi, che nascondono la su infantile e tenera fragilità.
Il protagonista costruisce la sua solitaria visione del mondo, disegnando una delirante concezione dell’ordine universale e morale nel quale la pornografia coincide con l’amore e l’eucaristia con l’indigestione. Continuando nella sua eresia e forte di questa fede approda alla visione celeste degli angeli della gravità che grazie alle loro ali vincono il peso della materia e si elevano verso Dio. Nella certezza di entrare a far parte della schiera di questi angeli, il condannato affronta con serenità la sua morte imminente e si consegna ad una autentica santità. Sacro e profano si attraggono in maniera del tutto naturale, i concetti di colpa e innocenza, di punizione e redenzione balleranno una macabra e tenera danza.
Ubaldo Marangio