I Soul Peanuts Big Band, è una formazione, abbastanza unica nel suo genere in Italia, per un fatto prettamente di linea artistica, una vera e propria orchestra alle prese con un repertorio abbastanza ampio di Soul, Funk e Disco anni 80. La band formata nel 2015 da Michele Carbone è nata grazie al suo amore sconfinato per la musica afroamericana maturata grazie all’esperienza dei movimenti dei diritti umani nati negli anni 60. Questa maturazione è esplosa negli anni 80 con artisti che hanno raggiunto obiettivi di livello mondiale come gli Earth, Wind & Fire a cui si è ispirato. Soul Peanuts, è un gioco di parole che deriva da un famosissimo pezzo di Dizzy Gillespie.
Nel repertorio dei Soul Peanuts sono presenti sempre quattro o cinque brani degli Earth, Wind & Fire e altri artisti di questo periodo musicale, come Anita Baker, Kool & the Gang che è un gruppo che veniva dal jazz, George Benson, Donna Summer, Barry White il gigante del soul sia fisicamente che musicalmente uno che ha venduto milioni di dischi nel mondo, era un alchimista dei suoni era un pignolo guardava la produzione dalla A alla Z e poi il modo di cantare il soul. Il Soul è la radice della musica nera, tradotta vuol dire anima, parte dai neri che erano nei campi di schiavitù nell’America del sud per raccogliere il cotone, per alleviare questa sofferenza cantavano per ricordarsi che esiste la gioia, che esiste la vita, al di là della sofferenza. Questa è la radice del soul, tant’è che i testi, le musiche raccontano la sofferenza, la tristezza, la malinconia, ma anche la gioia.
Ancora oggi esiste la musica afroamericana, nonostante ci sono rimasti pochi attori, il periodo di cui abbiamo parlato comprendeva centinaia di artisti, oggi ne abbiamo una quindicina che continuano questo discorso. Soul Pineuts vuole raccontare quel periodo nel migliore dei modi, attraverso un organico grande con dieci undici elementi, due vocalist, tre fiati (sax, trombone e tromba) e 5 elementi di ritmica.
Michele Carbone in arte Michael Coal, il fondatore, ci racconta gli inizi di questa splendida avventura: «Mio padre mi comprò la prima batteria e iniziai a suonare da solo con i dischi che utilizzavo come base, imparando cosi il timing che è la prima regola di questo strumento, cioè il senso del tempo e a mantenerlo durante tutto il brano questa è una cosa che il disco ti aiuta molto, perché il disco era fatto in studio di registrazione con il metronomo, quindi suonare su un disco era come suonare con questo strumento ed io ho imparato così. Poi iniziai a suonare con le prime band, ci riunivamo in cantine e suonavamo in piccoli gruppi. All’università non lasciai la musica, feci la radio sulla prima rete radiofonica, e fui il primo a parlare di Jazz Fusion nell’85 che era la corrente di avanguardia del jazz. Dopo mi dedicai alle produzioni live e come coproduttore feci il Festival del Jazz di Roma alla Scalinata dell’Eur dove ebbi l’onore di conoscere i grandi musicisti del mondo del jazz. Successivamente lasciai le bacchette per un po’, fino a quando 15 anni fa mi sono detto “ma perché lasciarle in cantina anche se ho scelto un’altra strada, io voglio provare tanto la vita è una” e allora mi sono rimesso in gioco e ho studiato sono andato da diversi maestri e alla fine nel 2015 ho fondato questo gruppo con cui mi diverto molto».
Agostino Fraccascia