Tutto il rock parla d’amore. Anche quello che sembra non farlo, in realtà tratta questo sentimento come qualcosa che permea la vita in ogni singolo istante assente di spazio-tempo. La musica stessa è un atto d’amore ed è stato un atto d’amore verso se stessi quello di guardare dal vivo uno spettacolo di Candlelight Concerts organizzato da Fever, che da anni regala emozioni al pubblico creando un’atmosfera unica nel suo genere, tra musica classica e la luce calda della miriade di candele adagiate sul palco, come ad accogliere calorosamente gli artisti meravigliosi che lo calcano e il pubblico presente in sala.
Domenica 17 novembre è stato il turno dell’Heaven Quartet, un quartetto d’archi formato da musicisti di spessore, come la simpaticissima Antonella Franceschini (violino), che ha alleggerito il concerto accompagnando il pubblico tra un brano e l’altro con aneddoti legati alle canzoni rock, riprodotte ovviamente in chiave classica. Un’idea vincente quella di coniugare la solennità della strumentazione classica con una spontanea ironia, che avrebbe permesso anche ai più profani di vivere l’esperienza con leggerezza e curiosità. Gli spunti di riflessione non sono mancati e non sono nemmeno rimasti seduti sulle morbide poltrone del Teatro Ghione, anzi, ogni astante si è portato a casa un pezzo di storia sicuramente utile alla propria.
Amori invincibili, vinti, da dimenticare, indimenticabili e tossici, sono gli amori descritti da Antonella in riferimento alle storie che ruotano attorno ai brani riprodotti magistralmente in scaletta dal quartetto, composto anche da Roberta Palmigiani (Viola), Giusy Petti (violino) e Donato Cedrone (violoncello). Quello che è arrivato moltissimo in sala da parte di questo quartetto, sono stati il senso di famiglia e di unione che li caratterizzano come gruppo. «Ci incontriamo per fare le prove sempre a casa di Donato» racconta Antonella e conclude ironicamente: «…ma ogni volta finisce che facciamo mezz’ora di prove e otto di cena» . Sicuramente di fondo c’è uno studio e un talento insindacabili, ma è pur vero che se non c’è coesione all’interno di un progetto che coinvolge più persone, non c’è anima e, ieri sera, l’anima dell’Heaven Quartet ci è arrivata tutta, con una scaletta che ha più o meno commosso l’intera sala, riproducendo dei classici del rock con un’energia talmente potente da rendere rock il classico.
Tra i vari pezzi abbiamo quindi visto e ascoltato “Sweet dreams” degli Eurythmics che, tradotto, non significa affatto “Dolci Sogni”, bensì “Fai bei sogni”, pezzo che ha scritto Annie Lennox per l’altro componente David A. Stewart. I due si erano lasciati, ma gli Eurythmics dovevano continuare a vivere e così è nato un pezzo cult della musica popolare degli anni ’80.
L’amore ha diverse forme anche quando un pezzo non parla d’amore, se non altro quando si sceglie la musica a dispetto di tutto il resto. “Smoke on the water” emerge da un incendio durante un concerto di Frank Zappa in Svizzera, causato da uno degli astanti che ha avuto la brillante idea di far esplodere un razzo mandando a fuoco tutto, probabilmente preso da un amore passionale verso l’artista. Quella stessa sera però, nell’hotel vicino, c’erano i Deep Purple che hanno composto “il fumo sull’acqua”, ossia il pezzo più suonato ancora oggi da chitarristi in erba e non.
Il quartetto ci ha regalato poi una meravigliosa “Nothing else matters” dei Metallica, riportandoci ai primi album rock scoperti da adolescenti, per poi passare ad un medley degli AC/DC con “Back in black” e “Thunderstruck”, per rilassarci poi nuovamente con un brano impegnativo, come l’amore, che è “With or Without You” degli U2.
All’appello non potevano di certo mancare i Led Zeppelin con “LA Canzone”, nonché il brano che ha dato il nome al quartetto Heaven Quartet. “Starway to heaven”, di cui Antonella confessa di non averci capito nulla, facendo riferimento all’immensità del testo cantato dall’altrettanto voce celestiale di Robert Plant che, nemmeno a farlo apposta, ci accompagna letteralmente in paradiso con o senza scala.
“The house of the rising sun” è un brano che parla di una casa di appuntamenti. Roberta Palmigiani (viola) racconta che lo suona con la chitarra da quando aveva cinque anni, uno di quei brani con cui pare che il quartetto ami improvvisare ogni sera, facendolo diversamente senza nemmeno seguire lo spartito.
Il concerto, infine, si chiude con due pezzi dei Queen: “Love of my life” che non ha nemmeno bisogno di descrizioni e “Bohemian Rapsody”, uno di quei brani uscito in maniera impeccabile già in fase di prova, grazie ad una delle famose cene di cui sopra, a casa di Donato Cedrone, dove pare che Giusy Petti si sia lasciata andare ad un’ottima performance dopo aver bevuto due dita di Spritz «a stomaco vuoto» (specifica), altrimenti con un po’ di prosciutto affettato da Donato avrebbe retto. Ma l’arte nasce così, dall’happening, dalla performance, dalla vita quotidiana, da un bicchiere di vino, una chitarra sgangherata e dalla vita che fluisce tra le note di uno spartito, le quali si liberano nell’atmosfera andando a toccare il cuore di tutti. Si è capito che i Candlelight Concerts sono esperienze da vivere assolutamente anche più di una volta, perché rappresentano un momento per ripararsi dal caos urbano in un’atmosfera calda e accogliente, come quella del Teatro Ghione, con quella magia che solo la buona musica e un pizzico di follia sanno dare.