Che il Natale sia una delle feste universalmente più amate, è testimoniato dal fatto che la narrazione con al centro lo scambio di doni, la neve, la bontà che da tradizione è tipica di questo periodo dell’anno, oltre ad essere vastissima, conta fra le sue fila alcune produzioni – letterarie, cinematografiche, musicali – che fanno ormai parte del bagaglio culturale di tutti noi. Se proprio vogliamo andare a ricercare l’origine delle storie popolari incentrate sul Natale, di certo un ottimo punto di partenza è il celeberrimo A Christmas Carol di Charles Dickens, una delle storie più commoventi e famose dell’autore inglese, nonché una delle più antiche incentrate su questo periodo dell’anno che siano riuscite a giungere sino ai giorni nostri conservando la sua enorme potenza emotiva.
Quest’anno la compagnia teatrale della Gilda dei Guitti ha deciso di omaggiare il Natale proprio portando in scena – “in scena”, si badi bene, non “a teatro”- questo classico della letteratura mondiale, mettendola in una prospettiva del tutto nuova e tridimensionale. La regia di Silvia Faccini dona al capolavoro natalizio una linfa diversa rispetto ad altre trasposizioni che nel tempo abbiamo imparato ad amare. In A Christmas Carol – La magione di Dickens, viene rovesciato il tradizionale ruolo dello spettatore che assiste passivamente a quanto accade di fronte a sé, in quanto chi guarda fa parte della scena e si muove nello stesso spazio d’azione degli attori. Il viaggio che l’avarissimo Ebenezer Scrooge è costretto a compiere verso la sua redenzione nella notte di Natale, è accompagnato da tanti spiriti, presenze silenziose ed inquietanti, osservatori e giudici che seguiranno ogni passo del protagonista alla ricerca del vero spirito del Natale. Tutto ciò è stato possibile grazie ad un allestimento scenico di altissimo livello, che occupa ogni spazio disponibile di quella che, durante il restante periodo dell’anno, è il quartier generale della compagnia, la Bicocca dei Guitti. Tredici spazi per tredici ambientazioni differenti, in uno spettacolo che trascina con sé lo spettatore, il quale non solo viene proiettato nel mondo immaginato da Charles Dickens ma, come un novello Dante, viene guidato attraverso il suo viaggio dall’autore inglese in persona. Nella prima scena lo studio di Scrooge, indaffarato a contare i suoi averi e ad umiliare il suo collaboratore ed i suoi clienti, si affolla di tanti eterei testimoni, spettatori (per l’appunto) di un qualcosa di nuovo e familiare al tempo stesso. Da lì si passa alla camera da letto dell’arido uomo d’affari, iniziando con lui un viaggio indimenticabile fatto di ricordi, paure, speranze e momenti appartenenti ad una vita che non c’è più. E così si procede, adagio per le scale ed i corridoi della Bicocca, guidati dai tre spiriti del Natale (passato, presente e futuro, per i più distratti), assistendo alla graduale trasformazione di Scrooge, un uomo che nel suo passato aveva degli affetti e degli amori che il destino e gli affari gli hanno portato via, e che nel presente non vuole e non riesce ad accorgersi di tutto il bene che lo circonda. Una delle scene più d’impatto è forse quella relativa al Natale futuro, nella quale i silenziosi spettri-spettatori assistono alla definitiva redenzione di Scrooge, a seguito della visione del suo miserrimo futuro. Il tutto in una delle ambientazioni più particolari che ci offre questo viaggio nel libro di Dickens, una tappa nella quale il cimitero dove è stata posta la lapide di Scrooge, degna dell’aridità del
suo cuore, è stato ricostruito con una precisione nei dettagli che lascia senza fiato.
Ed è così che termina questo viaggio, con la redenzione di un’anima che riacquista la limpidezza di una vita lontana, ridiventando degna di festeggiare il Natale nei migliore dei modi, immerso in quell’affetto che da troppo tempo l’avaro Scrooge aveva rifiutato ed allontanato da sé.
Il merito maggiore che può essere attribuito alla Gilda dei Guitti è proprio quello di essere riusciti a rendere innovativo uno spettacolo la cui storia, personaggi ed evoluzione narrativa sono elementi conosciuti da tutti, rendendo possibile tutto ciò attraverso una rielaborazione degli spazi ed una costruzione scenografica assolutamente fuori dal comune, destabilizzando e stupendo lo spettatore come mai ci si sarebbe aspettati da un classico come A Christmas Carol.
La storia è stata resa reale oltre ogni misura, anche grazie all’interpretazione viva e coinvolgente di tutti gli attori, “capitanati” da Gianni Pasquali che nelle vesti – o meglio, nella vestaglia – di Scrooge, ha dato prova di riuscire a tenere alta la tensione emotiva per tutta la durata della rappresentazione, trasmettendo al pubblico la vera essenza del personaggio immaginato da Dickens. Menzione d’onore anche per i quattro spettri (ai tre già menzionati si aggiunge il primo in ordine d’apparizione – mai termine fu più appropriato -, il fantasma del vecchio socio di Scrooge) i quali, ognuno a modo loro, con le loro marcate differenze e caratterizzazioni, sono riusciti a far empatizzare gli spettatori con tutto ciò che accadeva attorno a loro e, cosa più importante, con la storia personale del protagonista.
La sensazione che si ha una volta usciti dalla Bicocca dei Guitti – pardon, dalla Magione di Dickens – è quella di aver fatto parte di uno spettacolo unico nel suo genere, con sfaccettature e soluzioni artistiche molto difficili da trovare da qualsiasi altra parte.
Andrea Ardone